sabato 29 gennaio 2011

Luzon 2009 – Bodegas Luzon


Se è vero che di imparare non si finisce mai, provare nuovi vini è uno dei modi più belli per allungare la striscia temporale dell’apprendimento. Quando ho aperto e versato nel bicchiere il vino di cui sto per parlare ne sapevo ben poco. Men che meno potevo immaginare che sarebbe divenuto uno dei vini che più mi hanno colpito nell’ultimo periodo. La fascinazione con i vini spagnoli continua e sono sempre più convinto che questa terra sia troppo famosa per alcune sue caratteristiche quanto troppo sottovalutata per altre. Ed i vini possono tranquillamente entrare a far parte di questo secondo gruppo.

La denominazione di questo rosso è Jumilla, vigneto che si espande tra Albacete e Murcia, entroterra della costa orientale del paese, clima continentale ed un vitigno autoctono che regna, il Monastrell, noto per il suo colore scuro e la sua tendenza a dare vini piuttosto caldi, alcolici. E’ praticamente inesistente al di fuori di questa regione ed il Luzon costituisce per me il primo approccio con esso, seppure non da solo ma in un uvaggio dove è comunque in maggioranza, visto che è accompagnato dal 30% di Syrah. L’etichetta è una delle “basi” delle Bodegas Luzon, cantina tra le più importanti di questa DO che oltre al Monastrell vinifica anche alcuni vitigni internazionali in purezza con risultati alquanto apprezzati in patria. E se la qualità è sempre pari a quella di questo prodotto, non c’è da stupirsi.

Come mio solito, apro la bottiglia con un certo anticipo rispetto al pasto anche se ho sempre trovato ridicole le indicazioni accademiche o da retro-etichetta che consigliano di stappare il vino ere mesozoiche prima di berlo. Nessuno ha il tempo, la memoria e la voglia di farlo e soprattutto è perfettamente inutile: al limite basta versare il vino nei calici una mezz’oretta prima di degustarlo così che prenderà la giusta dose di respiro e nemmeno ci sarà bisogno di spolverare il decanter. A meno che non stiamo aprendo un grande vino di vecchie annate o si voglia far mostra del decanter nuovo che altrimente ammuffisce in vetrinetta tra teiere di porcellana e set da caffè ricevuti in regalo da qualche sperduto zio. Nessuno di questi due è il caso: ho aperto questo Luzon con l’anticipo che corrisponde a scendere da casa, recarmi nella rosticceria di fiducia, comprare la lasagna al ragù di cui avevo spasmodica voglia dalla prima mattina, tornare a casa e consumare il pranzo.

Mezz’ora scarsa quindi ed il vino era lì che mi aspettava, nel calice che avevo già annusato per testare l’integrità del tappo e nel quale avevo frettolosamente captato note che mi avevano subito intrigato. Non mi sbagliavo. Il naso è subito stato coinvolto da sentori di liquirizia pura, noce moscata, visciole, terra bagnata. Se non fosse per la tinta scurissima si potrebbe quasi confondere con un Borgogna di razza, per questo suo lato sanguigno che porta la frutta in un’altra dimensione. Impressionante per eleganza, potenza, personalità. Lo gusto e mi avvolge senza aggredirmi, la frutta rossa viene fuori in un corpo caldo e vellutato, ma a suo modo, non compiacente e nemmeno esageratamente morbido, semplicemente buono, di razza. La percentuale di Syrah non maschera l’entità del vino, tanto che la nota speziata è solo accennata e fa da contorno a tutto il resto. Finisce con una traccia di caffè appena macinato ed una sensazione di piacevolezza che raramente si riscontra per un vino con caratteristiche tendenti alla cupezza com’è questo Luzon. Un vino che viene presentato come vino da tutti i giorni dalla cantina (anche nel suo prezzo, intorno ai sette euro in Spagna) ma che dà l’impressione di potersi prestare anche a qualcosa di più.

La lasagna al ragù della rosticceria si è sentita ben accompagnata da questo Jumilla, così come la carne mista alla cacciatora che ho mangiato il giorno dopo. Mi sembra anche un ottimo partner per formaggi semi-stagionati. Versatile e di carattere, senza voler sembrare quello che non è. A questo punto dovrò approfondire la Jumilla, il Monastrell e gli altri vini della Bodegas Luzon. Non si finisce mai di imparare. Per fortuna.

martedì 25 gennaio 2011

Domenica 13 Febbraio: QUATTRO VINI PER QUATTRO FORMAGGI

QUATTRO VINI PER QUATTRO FORMAGGI

ovvero un modo per apprendere meglio ed in maniera "pratica" gli abbinamenti tra uno specifico tipo di formaggio ed il vino adatto alle sue caratteristiche. Lo faremo degustando quattro ottimi formaggi di produzione artigianale accompagnati da vini selezionati di piccole aziende. Avremo la possibilità di abbinare i diversi formaggi a diversi tipi di vino, dal bianco al rosso di struttura fino ad arrivare ad un passito...per esaltare i sapori e gustare meglio l'uno e l'altro!

La degustazione si terrà DOMENICA 13 FEBBRAIO 2011 al RISTORANTE GROTTA D'ABRUZZO in VIA PALERMO, 45
ORE 19,15
costo EURO 20
posti limitati!!!!

venerdì 21 gennaio 2011

Nobile di Montepulciano Riserva 2003 - Il Conventino


Quello che rimane dopo un weekend lungo nel senese, tra Val D’Orcia e Chianti, è una sensazione unica che solo quelle magiche terre sanno trasmettere. Le crete, i cipressi, le campagne infinite, le strade dei paesini, i negozi di artigiani. Sembra tutto così perfetto da sembrare costruito, invece è incredibilmente reale ed è anche per questo che questi luoghi sono adorati in tutto il pianeta.

Una delle cose che più mi colpisce è il rapporto che si instaura con i gestori delle botteghe di qualsiasi genere, La loro accoglienza va al di là della semplice ospitalità turistica di cui in Toscana sono maestri. Molti di loro, quelli più appassionati in particolar modo, ti trattano come un amico e ti mettono a tuo agio in un secondo. Se poi vedono che sei realmente interessato al prodotto, sanno anche dispensare preziosi consigli.

E’ esattamente quello che mi è successo in una piccola enoteca a Montepulciano della quale purtroppo non ricordo il nome ma se può aiutare, è gestita da una splendida e giovane coppia romana che ha deciso di abbandonare il caos capitolino per vivere tra scaffali e bottiglie in un contesto da favola. Ho chiesto loro che mi sarebbe piaciuto assaggiare un Nobile che rappresentasse quel territorio, così troppo spesso dimenticato per avvicinarsi a quel gusto supertuscan che poco a che fare con la schiettezza di queste terre e soprattutto con l’austerità del Sangiovese, qui coniugato in Prugnolo Gentile.

La loro risposta è stata questa bella bottiglia dell’azienda Il Conventino, una Riserva del 2003 che ho aperto dopo un anno abbondante di riposo nell’angolino misterioso della mia casa che pretestuosamente io chiamo cantina. Un vino che ha rivelato soddisfare in pieno le mie richieste. Ma andiamo con ordine.

Il Conventino è un’azienda condotta da tre fratelli dediti alla valorizzazione della splendida materia prima a disposizione. Convinti che un buon lavoro in vigna ed in cantina comporti un utilizzo limitato della chimica, adottano da subito i metodi dell’agricoltura biologica e prediligono la qualità alla quantità, tenendo molto basse le rese per ettaro. Il 2003 è la loro prima annata di produzione, quindi questa Riserva da me bevuta è il loro esordio.

Oltre all’imperioso Sangiovese (85%) nel vino c’è una piccola parte di vitigni della tradizione locale quali Mammolo, Colorino e Canaiolo. Affinato per un totale di 42 mesi, di cui 30 in botte da 50 litri, 6 in barrique e 6 in bottiglia, questa Riserva è figlia di un’annata torrida nella quale molti produttori hanno avuto problemi con alte gradazioni alcoliche ed effetto-marmellata. Questo Nobile è invece perfettamente stabile tra morbidezza ed acidità, il 14% di alcool è perfettamente inglobato nella struttura tanto da risultare un vino beverino e di estrema gradevolezza. Belle le note speziate di sigaro toscano e di pepe nero a corredare il tipico quadro fruttato-floreale, corpo importante ma non imponente, dà l’impressione di poter crescere ancora per almeno 5-6 anni. Nessuna traccia di vaniglia o di cioccolato al latte, nessuna stanchezza al palato. Insomma un bel Nobile, che si fa bere a tavola anche con portate molto saporite e di gran complessità ma che potrebbe essere anche un ottimo compagno per una classica costata, magari di chianina.

Nell’attesa di bissare il viaggio e magari di andare a trovare quelli de Il Conventino direttamente in cantina, un bel brindisi con un Nobile vero. Non è cosa da tutti i giorni, è quindi bene sottolinearlo.

mercoledì 19 gennaio 2011

Vitigni e territori a confronto


E’ giunto il momento di raccontare  un’altra piacevole serata passata tra amici e bicchieri. Questa volta il tema mi era stato suggerito e consigliato da molti assidui frequentatori dei nostri incontri, incuriositi nell’individuare differenze territoriali e stilistiche tra vini derivati dallo stesso vitigno ma di diverse zone vinicole. Va da se che la scelta sia dei vitigni che poi dei vini era infinita, allora prima di impelagarsi in dubbi derivanti da gusti personali, evoluzioni della specie e componenti mistiche, la preferenza è andata sull’ovvio: i bianchi di Borgogna ed i rossi di Bordeaux “contro” gli innumerevoli tentativi di imitazione. Si fa per dire, perché l’imitazione non solo non è mai consigliabile ma nel vino non è nemmeno possibile.

Eccoci allora, i protagonisti della serata sono cinque, tre chardonnay e due uvaggi bordolesi “di lusso”, vale a dire con i due vitigni più pregiati della Gironde, Merlot e Cabernet Sauvignon. I vini sono stati degustati alla cieca, giochino che ha stuzzicato la voglia di indovinare l’etichetta tra la maggior parte dei presenti ma che soprattutto è servito a giudicare i vini senza preconcetti e probabilmente apprezzarne le differenti sfumature in maniera più nitida. Ma andiamoli a vedere da vicino questi protagonisti, partendo con i bianchi.

Il primo vino degustato era il vero outsider della serata, lo Chardonnay Parvus della cantina Alta Alella, una della sette cantine facenti parte della denominazione catalana Alella, piccola zona nei dintorni di Barcellona, a due passi dal mare e contraddistinta da terreni prevalentemente sabbiosi. Il vino in questione, un 2009, affina quattro mesi in barrique ed ha un olfatto fortemente marcato dal legno: tostatura, burro fuso, frutta secca. Solo in seconda battuta vengono fuori note esotiche di ananas e banana, con spunti floreali appena accennati. Il gusto è pieno, vigoroso, morbidezza ed eleganza prevalgono su acidità e struttura, la rotondità del legno ritorna ancora non ben amalgamata nel corpo, seppur non in modo stucchevole. Le note mediterranee aleggiano nel finale, manifestandosi in una delicata sapidità. Un vino moderno, forse anche un po’ troppo ma sicuramente ben fatto, tutto sommato piacevole e versatile negli abbinamenti con preferenza per piatti di pesce anche salsati.

A seguire, abbiamo giocato in casa, per una volta infatti il protagonista è stato un vino del Lazio, il Calanchi di Vaiano 2009  di Paolo e Noemia d’Amico, splendida cantina situata nel cuore della Tuscia, a Castiglione in Teverina, proprio  tra le pittoresche formazioni rocciose, i calanchi, cui questo Chardonnay affinato in acciaio fa omaggio col suo nome. Naso varietale se ce n’è uno, frutta bianca e fiori d’acacia e tanta finezza, con un filo di erbe aromatiche e sfondo appena affumicato. In bocca è il trionfo della mineralità, pungente ed inebriante, grande freschezza e bevibilità da campione. Un vino già pronto ed in rampa di lancio per crescere e sviluppare la sua eleganza nel tempo, di medio corpo, compagno ideale di una bella fettuccina ai porcini ma non lontano dall’essere vino da secondi piatti di carne bianca in cotture anche elaborate. Un sorso chiama l’altro, grande equilibrio e grandi soddisfazioni.

Per il terzo ed ultimo bianco, il nostro viaggio ci ha portato nella madre patria dello Chardonnay, la Borgogna interpretata in questo caso da un parigino col sogno di fare vino, il 36enne Horonce de Beler che ha mollato il suo lavoro sicuro nella capitale per cogliere uva e diventare negociant. Il suo Starterre 2006 è uno Chardonnay lavorato in maniera completamente naturale, compresa raccolta grappoli a cavallo e metodi biodinamici in cantina. E un AOC Bourgogne ma le uve provengono tutte da Saint-Veran. Ha un naso assolutamente particolare, riporta alla terra nel senso stretto del termine, con note di sassi bagnati, acqua piovana, fieno. La frutta è più matura ed il floreale si avvicina ad una sorta di pot-pourri, seppur molto discreto. Nessuna traccia dei 12 mesi di barrique, nemmeno quando si assaggia, con la parte acida che al momento è ancora prevalente sul resto e va in evidenza la naturale struttura ed il gran corpo dello Chardonnay a casa sua. Finale lungo ed invitante, il vino cresce nel bicchiere dopo ogni minuto e sembra voler farsi studiare pian piano, rivelando il suo misterioso fascino. Pur essendo di tre annate più anziano rispetto agli altri, sembra essere il vino che ha più da chiedere al tempo. Una sfida che sarebbe bello giocare di nuovo tra qualche anno.

Dopo questo trittico di bianchi che ha mostrato tre diversi interpretazioni dello Chardonnay, anche i due rossi hanno messo in mostra le sfaccettature della loro terra. Questa volta ad aprire è stato il francese, il Premieres Cotes de Blaye 2007 dello Chateau Mondesir-Gazin, cantina capace di mettere in mostra le caratteristiche di questa microzona del bordolese influenzata dalla presenza dell’estuario del fiume Garonne. I rossi di questa parte di Francia sono a maggioranza Merlot (65% in questo caso) e giocano sull’equilibrio tra potenza ed eleganza. Nel caso di questo 2007 troviamo un naso piuttosto scuro, che vira dalle spezie al cuoio passando per le ciliegie sotto spirito. Una bocca piena, succosa ma dritta, senza compromessi, ancora piuttosto chiusa ed ancorata ad un finale lungo e pulito. Un vino dove la piacioneria del Merlot è messa da parte e si tende invece ad evidenziare la parte più nobile del frutto. Ancora in via di definizione ma già ottimo su piatti a base di agnello, anche il classico al forno con patate.

La rappresentanza italiana dell’uvaggio bordolese non poteva che essere un classico supertuscan anche se fuori dall’èlite dei grandi nomi blasonati. Si tratta di un Bolgheri DOC, lo Zizzolo 2009 della cantina Le Fornacelle di Castagneto Carducci. Anche qui Merlot in maggioranza (60%) ma questa volta interpretato in maniera più solare, dove le sensazioni olfattive di frutti rossi si incrociano ad un’evidente nota salmastra, molto affascinante ed esemplificativa del territorio in questione. La mineralità che approccia la bocca è il proseguo della cartolina dell’Alta Maremma, mentre freschezza ed eleganza del tannino rendono il sorso morbido e di ottima fattura. 6 mesi di legno assolutamente ben gestiti, nessun ritorno vanigliato e buon equilibrio generale. Un vino più sottile del precedente, assolutamente da carne, dall’agnello ad una ricca grigliata.

A chiusura di serata, i doverosi sondaggi sui preferiti hanno visto una certa indecisione nell’assegnare la palma del vincitore. Tra i bianchi la spunta il Calanchi per qualche voto sullo Starterre mentre tra i rossi c’è stato una sostanziale parità. E’ stata una serata utile e divertente ed approfitto per ringraziare ancora una volta tutti gli entusiasti partecipanti. Aspetto quanti di voi potranno venire il 13 febbraio con il nuovo tema che vedrà quattro ottimi formaggi accompagnare altrettanti vini. Salute!

venerdì 14 gennaio 2011

Navarra Rosado Sobre Lias Edicion Gran Feudo 2008 – Bodegas Chivite


Ultimamente mi sono avvicinato in maniera concreta ai vini spagnoli, realtà che fino a poco tempo fa conoscevo più nella teoria che nella pratica. Poi per caso e con colpevole ritardo ho scoperto che le spese di spedizione dalla Spagna all’Italia sono piuttosto basse (non come dalla Francia dove sono proibitive) il che si aggiunge al già ottimo rapporto qualità-prezzo dei vini di questo paese in continua crescita dal punto di vista enologico. Oltre alla Rioja e alla Ribera del Duero, le due denominazioni più famose, ne esistono infatti molte altre dalle mille caratteristiche e che si distinguono per territorio, tradizione e stile.

Pur essendo un paese che ha ottenuto i maggiori successi nel mondo grazie ai suoi vini rossi, la Spagna produce anche molti spumanti (l’industria del Cava supera anche quella dello Champagne numericamente parlando, con picchi di notevole qualità), parecchi bianchi con vitigni locali (su tutti l’Albarino della Galizia) ed internazionali ma anche rosati, che tra l’altro ben si abbinano a molte delizie della loro cucina, dagli splendidi prosciutti passando per la paella o per l’aperitivo con le onnipresenti tapas. Ed è proprio con un rosè che voglio aprire lo spazio ai vini di Spagna in questo blog. Un rosè della Navarra (che ha la sua DO, denominazione di origine) che mi ha favorevolmente colpito.

Anche se conta (o dovrebbe contare) poco o nulla, l’etichetta mi aveva portato a pensare a male. Non tanto per la sua scarna grafica ma per un particolare che mi puzzava di basso marketing, cioè un pallino blu scuro con dentro scritto “buono fino al 2012”. Questa sorta di scadenza non è il massimo, anche se in realtà vuole solo avvisare l’acquirente che questo rosato ha le potenzialità per evolvere almeno un paio d’anni in bottiglia e probabilmente è stato inserito in etichetta con tutte le buone intenzioni. Ma andando oltre questo particolare, ho deciso di aprire il vino e degustarlo insieme ad un primo piatto, un ragù di melanzane con scaglie di ricotta salata, una sorta di Norma riveduta e corretta. Un azzardo con un rosato? vediamo.

Innanzitutto introduco un po’ questo vino, blend di Tempranillo, Grenache e Merlot. Un prodotto abbastanza particolare in quanto, come recita il suo nome, è un rosato che affina sui suoi lieviti per almeno sei mesi, il che contribuisce a dare struttura e complessità gusto-olfattiva. Sono effettuati frequenti batonnage in modo che l’apporto aromatico dei lieviti sia equilibrato ed il vino sosta poi anche quattro mesi in barrique ed altrettanti in bottiglia, per un totale di oltre un anno di riposo prima della sua messa in commercio. Un rosè quindi volutamente sui generis che si annuncia più che un semplice vinello estivo e rinfrescante come molti, dignitosissimi, della sua tipologia. E’ un po’ lo stile della linea Gran Feudo dell’azienda Chivite, edizioni speciali con bottiglie limitate rispetto alla vasta produzione di base per ottenere prodotti di qualità superiore.

Il vino si presenta benissimo all’occhio, so che conta poco ma i rosè sanno essere molto affascinanti quando i loro colori sono così, tra il salmone ed il buccia d’arancio, cristallino ma non forzatamente intenso e lucente, anzi, quasi fiero del suo pallore. L’olfatto è di grande e suggestivo impatto e qui le note dei lieviti fanno la differenza, ricordando, grazie alla famigerata nota di crosta di pane, il naso di alcuni Champagne. Ma questo non fa sì che si perda la gradevolezza e la golosità dei frutti rossi che sembrano espandersi di minuto in minuto, tra fragola e lampone. Questo equilibrio si ripropone in bocca dove il vino brilla per bevibilità: setoso, elegante, morbido e con ottima freschezza. E con una struttura importante che però non compromette la sua leggerezza.

Se ha retto il ragù di melanzane? assolutamente, la sua morbidezza e la sua “fruttosità” hanno ben bilanciato l’acidità del pomodoro mentre il suo bel corpo non lo ha fatto soccombere di fronte alla discreta complessità del piatto. Di sicuro può essere abbinato a tante altre portate, dagli antipasti di salumi ai secondi di pesce o carne bianca, magari con guazzetto di pomodori. E’ un vino versatile a tavola, ben fatto, di estrema godibilità. Un rosato serio, a meno di dieci euro. Da bere e ribere.