mercoledì 30 marzo 2011

La serata dei vini (e vitigni) del Lazio


Proprio nella serata in cui temevo il flop, è arrivato un fiume di adesioni inarrestabile, che ci ha fatto superare abbondantemente l’ipotetico limite di 20 che per questioni di spazio avevo prefissato. Eravamo in trenta, attirati – incredibile ma vero – dai vini del Lazio. Già, i tanto bistrattati vini del Lazio, quelli che per anni sono stati visti solo ed esclusivamente come prodotti da consumo quotidiano, da prendere sfusi da qualche “vinaro” di ignota provenienza. O al massimo li associavamo alla porchetta, facendoci tornare in mente sostanze frizzantine i cui ingredienti spesso e volentieri avevano (hanno?) ben poco a fare con l’uva.
Se pur in parte queste prese di posizione sono giustificate dalla scarsa attenzione alla qualità che molti produttori ancora oggi hanno, c’è da dire che il livello della viticoltura laziale si è decisamente elevato grazie ad una maggiore attenzione generale iniziata alla fine degli anni 80 e soprattutto allo sforzo di eccellenti vignaioli che con coraggio hanno puntato sulle selezioni in vigna, sull’attento lavoro in cantina e su scelte spesso controcorrente sacrificando i grandi numeri. Ma solo con la pazienza e la lungimiranza si fanno le rivoluzioni e pian piano nel Lazio vitivinicolo si cominciano a raggiungere punta di vera eccellenza. La strada è ancora lunga ma se altri seguiranno i pionieri, ci si potrà togliere più di una soddisfazione.

La fiducia dimostrata dai partecipanti a questa serata d’altronde dimostra la voglia del pubblico di scoprire vini buoni e quest’apertura mentale non può che essere di buon auspicio per chi a fare vini buoni dedica la propria vita. La degustazione si è svolta nel più classico dei modi, 5 vini nel calice, 2 bianchi e 2 rossi secchi e a chiudere un vino da dessert. Importante sottolineare che i vini in questione sono tutti provenienti da vitigni autoctoni, una nicchia nella nicchia per una regione che ha riscosso finora i più importanti rislutati con vitigni internazionali. Andiamo a riassumere insieme quali sono state le sensazioni che ci hanno fatto vivere, con un altro sentito e doveroso ringraziamento ai presenti che permettono sempre di passare la serata in un’atmosfera unica. Alla prossima!

1)Orchidea 2009 – Tenuta Le Quinte

Direttamente dal territorio più famoso della regione, quei Castelli Romani che nell’immaginario collettivo vogliono dire scampagnata domenicale ma che in realtà sono sede di uno dei terroir da vino potenzialmente più importanti dell’intero paese, visti i suoli vulcanici, le esposizioni al sole e le importanti escursioni termiche. Una delle aziende che da tempo produce vini con lo scopo di rivalutare questa zona per troppo tempo poco sfruttata è la Tenuta Le Quinte di Montecompatri. Vigne nella microzona vocata detta Marmorelle, centomila bottiglie l’anno e grande attenzione per un vitigno che si è ormai stabilito come il principe dei Castelli, la malvasia puntinata. Nell’Orchidea, il loro prodotto di punta, esprime le sue note aromatiche con garbo, avvicinando il naso a pesca, melone, albicocca e note di camomilla, prima di avvolgere il palato con la sua elegante mineralità, l’ottima sapidità e la classica ma fine note ammandorlata. E’ un vino che lascia un bel sapore in bocca lasciando gradevoli sensazioni di intensità e delicatezza. La sua buona struttura ci permette di abbinarlo al meglio con primi piatti della tradizione, e come si direbbe a Roma con la carbonara è la morte sua.

2)Poggio Della Costa 2009 – Sergio Mottura

Se i Castelli sono il territorio più noto della regione, quello dell’alto viterbese è senza dubbio dove si sono ottenuti i risultati mediamente più alti a livello di qualità. In particolare la zona a sud di Orvieto che comprende comuni come Castiglione In Teverina e Civitella d’Agliano, incontaminata e bellissima, ricca di bellezze naturali come i calanchi e con terreni ricchi di argilla, è salita spesso alla ribalta dei palcoscenici internazionali del vino grazie a produttori capaci di sfruttarne al massimo le potenzialità. Tra i più celebrati, c’è Sergio Mottura, il guru del grechetto, vitigno inizialmente relegato ad uvaggi anonimi ma da un po’ di anni protagonista di vini in purezza di sorprendente nerbo. A lui Mottura dedica due etichette, il vellutato Latour A Civitella, che affina in barrique, e lo schietto Poggio Della Costa, che vede solo acciaio e vetro. E’ un vino impressionante per personalità, nonostante al naso sia tipicamente timido, essendo di recente imbottigliatura. Il grechetto è infatti un vitigno da attendere, meno esuberante della malvasia ma sicuramente più robusto, più grasso. Eppure anche all’olfatto col salire della temperatura il Poggio Della Costa accarezza le narici con note agrumate, di frutta secca, di fieno. Gustandolo si percepisce la nota alcolica, altro sintomo di gioventù da smussare nel tempo, ma anche un’estrema soddisfazione di beva dovuta ad un’opulenza mostrata con stile, ad una pungenza ed una acidità che ben sanno miscelarsi alla naturale morbidezza. Un vino da piatti col sapore forte, dalle zuppe ai pesci grassi come il baccalà e perché no, una vitella al forno salsata.

3)Cesanese del Piglio Alagna 2009 – Marcella Giuliani

Nel passare ai rossi, ci troviamo di fronte una delle più grosse vittime di understatement nel panorama dei vitigni mondiali: il cesanese. Ricordare l’associazione automatica e spesso non ancora dimenticata di quest’uva col vinello amabile color rosso pallido, carnefice di molti fegati romani, fa rabbia ai pochi produttori che negli anni lo hanno sempre trattato come si meritava, cioè da vitigno importante da cui trarre grandi vini. Il rinascimento del frusinate ha addirittura portato il Cesanese del Piglio a fregiarsi della DOCG, il che significherebbe poco di per se ma che può esser preso come un giusto premio per chi ha lottato contro i mulini a vento nel nome della qualità. Tra questi senza dubbio Marcella Giuliani, audace signora di Anagni che dopo la pensione ha pensato di mettersi in gioco nelle vecchie vigne di famiglia, investendo liquidazione, tempo e tanta passione. Gli studi sui vitigni locali, passerina e cesanese, ha portato alla produzione di diverse etichette, tra cui quest’Alagna, senza dubbio il più territoriale e tipico. Affinato in acciaio, si pone all’olfatto con una splendida nota di frutta fresca, dall’amarena alla prugna, con sensazioni cremose e leggermente speziate. All’assaggio conferma la sua gradevolezza offrendo un sorso fluido pur senza tradire la sua tipica rusticità qui però espressa senza mostrare i muscoli. Sicuramente un vino da tutto pasto che mi fa tornare in mente quei pranzi domenicali dalla nonna, in cui il  vero protagonista era il ragù con cui condire la pasta, a bollire in pentola dalla sera prima ed abbondantemente assaggiato tramite zuppetta via pane casereccio. Ecco, sto cesanese con quel ragù ce lo vedo molto bene.

4)Nero Buono 2008 – Cantina Cincinnato

Curiosa la storia del Nero Buono, un vitigno che fino a qualche anno fa era confinato nel suo enclave di Cori per il consumo locale e che ora sa ergersi a protagonista di vini in purezza di struttura ed importanza internazionale. In realtà non sono ancora in molti a puntarci, i produttori di Cori, paesino delizioso nei Monti Lepini, sono pochi, e la maggior parte dei vignaioli fa parte della cantina sociale Cincinnato. Ma a differenza della maggior parte delle cantine sociali regionali, da Cincinnato si pensa solo a produrre vini di qualità, le regole tra i soci impongono una chiara attenzione alla natura e le vigne sono a conduzione biologica. I numeri sono ben lontani da altre realtà simili, infatti siamo intorno alle trecentomila bottiglie annue. Molti i prodotti interessanti della cantina, tra cui un bellone molto gustoso, ma con questo Nero Buono siamo molto vicini alla quadratura del cerchio. Vitigno di personalità che ben si adatta alle colline laviche della zona, si dimostra capace di reggere un anno di legno tra botti grandi e barrique senza compromettere le sue caratteristiche. Seppur presente, la nuance vanigliata è ben fusa alla parte fruttata che in questo caso tende più alla ciliegia matura, al macerato, incontrando un bel pot-pourri floreale ed una lieve nota di liqurizia. Al gusto fonde morbidezza e struttura, è innegabilmente moderno ma sa esprimersi con il giusto piglio, senza strafare. Bella mineralità, finale in crescendo, matura nel bicchiere e suggerisce il veloce inserimento di un bell’abbacchietto al forno con le canoniche patate rosmarinate. Enjoy.

5)Macchia del Prete 2009 – Villa Puri

Poi ci sono quei vignaioli che ti riconducono ad una vita antica, in cui la vigna è il centro del mondo e tutto quello che viene dopo è superfluo, si fa se avanza tempo, se si può. Uno di questi personaggi è Vittorio Puri, il professore di Bolsena, esperto ed appassionato di botanica (nel suo orto ci sono specie rare da tutto il mondo e molte decorano anche le etichette dei suoi vini) ma anche l’unico uomo capace di dare una dignità all’Est!Est!Est! di Montefiascone, un bianco storico devastato da produttori sbadati e che lui ha portato nelle liste dei vini di grandi ristoranti con la sua etichetta Scelta Vendemmiale. Tra la sua produzione anche una bella declinazione di aleatico, il vitigno che intorno al lago di Bolsena (oltre che all’Elba ed in qualche angolo di Puglia) trova casa. I ceppi di Vittorio Puri sono antichi, e nel suo Macchia del Prete si traducono in tutto lo spirito di quest’uva storicamente destinata ad essere vinificata passita. Olfatto scuro, di bosco, con chiaro rimando ai petali di rosa, molto elegante. In bocca è ottimo il contrasto dolce/non dolce, la bella finezza del tannino, il giusto calibro dell’alcolicità. Lascia ottimi ricordi e sembra fatto apposta per passare una serata in compagnia. Se poi affettiamo una bella crostata di ricotta e visciole, andremo a dormire ancora più contenti.

lunedì 14 marzo 2011

Albarino 2009 Martin Codax


Torniamo in Spagna. Ma ancora una volta, togliamoci dalla mente la Spagna solare delle coste prese d'assalto da turisti alla ricerca di tintarella ed aperitivi a buon mercato. Questa volta andiamo in Galizia, a nordovest del paese, dove l'Atlantico porta correnti fredde sui paesaggi cupi che rimandano più a tradizioni celtiche che latine. Qui piove spesso, la popolazione è rigida e di carattere tendenzialmente chiuso, poco incline alla movida ed il vino che si beve qua è bianco. Il rosso quasi non sanno cosa sia.

Ovviamente è una regione affascinante, non solo per le sue città piene di storia come Santiago e La Coruna, non solo per il sentiero di Compostela, non solo per i suoi splendidi panorami. Ha un fascino che va oltre tutto questo, forse sarà il gallego, forse sarà questo approccio nordico all'interno di un paese profondamente meridionale. O forse sarà questo meraviglioso vitigno chiamato albarino, vero vanto dell'enologia locale. E' un vitigno bianco aromatico che però non ha nè la profumata sfacciataggine del Gewurztraminer, nè la facilità gusto-olfattiva del Moscato. Se proprio lo devo associare ad un altro tipo d'uva aromatica, lo avvicinerei al Riesling Renano, rispetto al quale però è un pò più timido, più scuro.

E' quasi sempre vinificato in purezza e la sua denominazione principale è Rias Baixas, cioè quella parte della Galizia  verso il confine col Portogallo e vicino all'Atlantico in cui le insenature (rias, appunto) provengono direttamente dall'oceano per inoltrarsi nel terreno. La bodega di Martin Codax lo pone al centro della sua produzione, costituita da diverse etichette dedicate esclusivamente a questo vitigno, con differenze di selezione, di vinificazione e di prestigio. Quella che ho avuto modo di degustare è la proposta di base, circa 10 euro nelle enoteche spagnole (non poco per un vino bianco base iberico) che viene affinata esclusivamente in acciaio e porta soltanto il nome dell'uva, Albarino 2009.

Si tratta di un bianco di personalità che rischia di spiazzare il degustatore distratto. Inizialmente non si spoglia di note olfattive spiccate, è chiuso come la sua gente ma a chi sa aspettare e lo tratta con gentilezza, magari facendolo salire lievemente di temperatura mentre si apre nel bicchiere, regala punte agrumate, sentori di fieno, tracce di mineralità con tendenze iodate. Ha qualcosa dei giovani Riesling al naso, seppur evidenziando una nota molto territoriale che in qualche modo rimanda proprio all'oceano. In bocca spiccano innanzitutto la sapidità e l'acidità, immediatamente corroborate da un gusto profondo, avvolgente e lungo. Denota una qual certa gioventù nel modo in cui ancora nasconde la parte più aromatica e fruttata, segno che anche in un base l'Albarino è capace di far nascere vini di lunga vita. E' un vino che è specchio del suo territorio, figlio di giornate fredde e ventose in vigna, di onde atlantiche che bagnano le spiaggie brune in lontananza, del rumore delizioso dei silenzi invernali. Compagno di serate di sofisticata solitudine o di operaia compagnia, lo vedo benissimo accanto agli agnolotti burro e salvia o al baccalà o al polpo (tipico della Galizia) nel modo in cui più vi piace, basta che sia senza pomodoro altrimenti l'acidità prende il sopravvento.

Se andate in Galizia, tra una cattedrale ed un'insenatura, tra una camminata ed un panorama di scogliere e fari, non vi dimenticate di ordinare una bottiglia di Albarino. Anche grazie a lui scoprirete che i gallegos in fondo, così scorbutici non sono.

giovedì 3 marzo 2011

Riserva Della Cascina

Oggi parlo con piacere di una realtà vinicola alla quale mi sento particolarmente vicino, e non solo per motivi logistici. Si tratta della cantina chiamata Riserva della Cascina, le cui vigne sono situate sul Parco dell'Appia Antica, nei pressi di Ciampino, praticamente a ridosso di Roma. Difficile pensare a prodotti di qualità quando ci si trova in un luogo dove l'urbanizzazione selvaggia ha preso il sopravvento ed il rumore delle macchine (per non parlare di quello degli aerei!) è ormai ben più frequente dei versi degli animali. Eppure alla Riserva della Cascina, grazie ad esperienza, passione e rispetto per la natura e per la salute dell'uomo, ci provano. E con ottimi risultati.

I loro sono vini di pianura che vogliono riflettere un territorio, quello dei Castelli Romani, che pur differenziandosi di zona in zona ha un filo conduttore molto spesso dimenticato. E' normale che si  abbia a che fare con vini che non fanno della profondità la loro bandiera e prediligono volentieri l'agilità del sorso alla struttura. D'altronde sono sempre stato del parere che una zona vinicola non debba essere rivalutata cercando di produrre il "vinone" a tutti i costi anche quando le condizioni non lo consentono. Molto meglio lavorare bene sul materiale che si possiede esaltando la piacevolezza e le sfaccettature territoriali in prodotti che siano prima di tutto sinceri. Ed è proprio questa la base da cui si parte alla Riserva della Cascina.

Le coltivazioni della casa (non solo uve) sono tutte in regime di agricoltura biologica, non per moda ma per convinzione che questo tipo di approccio sia strettamente legato ad una migliore qualità, oltre che ad una vita sana. Le etichette imbottigliate sono tre: il Marino Superiore 2009 è un bianco da bere a ripetizione senza trascurarne i notevoli aspetti organolettici. Dalle note olfattive che richiamano alla polpa di frutta, agli agrumi ed ai fiori di campo si passa ad un assaggio dritto, con la freschezza in primo piano a testimonianza di un'ottima acidità, corredata da un gustoso sapore che si chiude con la classica nota ammandorlata molto rotonda e piacevole e lontana da quella sgradevole sensazione di amarognolo spesso collegata a questa caratteristica dei vini dei Castelli. E' un Marino esile ma versatile, che si accompagna ad aperitivi ed antipasti, senza trascurare la cucina di pesce o qualche primo piatto della tradizione, vedi cacio e pepe o aglio olio e peperoncino.

Il secondo vino è il Castelli Romani Rosso 2009, blend di Sangiovese, Montepulciano e Merlot, che si rivela incredibilmente buono. Anche in questo caso parliamo di un prodotto che evita voli pindarici e si consolida nella cosiddetta fascia media ma non ha assolutamente nulla da invidiare ad etichette dal prezzo maggiore anche non di poco (siamo a 5,40 euro a bottiglia). Profumi di vigna, tocco minerale, sorso nitido e pieno, una bella morbidezza ed un equilibrio da manuale per un rosso che dovrebbe essere da esempio per molti produttori della zona troppo spesso all'inutile ricerca di brunelli de noantri. Da tutto pasto per antonomasia, sbizzarritevi negli abbinamenti e se proprio siete indecisi provate col classico bucatino all'amatriciana.

Il terzo vino imbottigliato è il prodotto di punta dell'azienda, il Bianco Galieno proveniente esclusivamente da Malvasia Puntinata. Purtroppo l'ultima annata prodotta è esaurita e la nuova deve ancora essere imbottigliata quindi l'assaggio è rimandato, ma rimangono i bei ricordi dell'ultima bevuta, per un vitigno che regala sempre vini di spessore e di calibrata aromaticità.

Della Riserva della Cascina mi piace sottolineare anche la produzione di sfuso che alza parecchio l'asticella della diffusa mediocrità in questo settore: bianchi e rossi certificati bio a meno di due euro al litro da prendere direttamente dalla botte e da bere tutti i giorni senza dimenticarsi il gusto del vino "vero" non è cosa da tutti i giorni. Un bell'esempio, di qualità, di modo di vivere, di filosofia agricola. A due passi dal raccordo. Andateci, sarà una bella giornata.