domenica 24 aprile 2011

Pensieri e sapori della serata del 17 aprile 2011


Siamo sinceri almeno una volta nella vita: il motivo principale per cui la maggior parte di noi aspetta le festività è il pranzo speciale per l’occasione. Senza offesa per i devoti, i religiosi o a coloro che festeggiano in maniera spirituale, i discorsi pre, durante e post celebrazione riguardano quali portate, la loro bontà, la loro quantità. Qualche volta nel discorso entra anche il vino. Ma troppo spesso arriva in secondo piano. Si, a Natale si stappano spumanti, secchi e dolci, a Pasqua addirittura esiste una tradizione romana molto antica secondo la quale all’agnello si dovrebbe abbinare il cannellino, il classico Frascati dolce, ovviamente un accoppiamento totalmente illogico dal punto di vista tecnico ma squisitamente storico.

La serata del 17 aprile è stata dedicata proprio ai vini per le feste di questo periodo, nello specifico i vini per Pasqua ma anche per il Primo Maggio, con l’implicita associazione alla scampagnata, nella quale una bottiglia di vino non dovrebbe mai mancare. L’idea era soprattutto  quella di trovare etichette col giusto equilibrio tra leggerezza e importanza, in modo da poter essere sorseggiate a tavola con un pranzo serio ma allo stesso tempo godute su un prato magari nel bicchiere volante (anche nella scampagnata però, facciamo un sforzo e portiamo qualche bicchiere in vetro, oltre a goderci meglio il vino saremo anche più ecologici che di questi tempi non è poco). L’ottima compagnia della serata è stata come al solito fondamentale per apprezzare ancor di più i vini ed il cibo che lo accompagnava. Un grazie va a tutti voi e uno in particolare a Fiorella per la pizza pasquale, a Bruno per la lasagna ai carciofi e a Rita per la pastiera. Come di dice in America, hanno rubato lo show.

I vini della serata provenivano tutti da agricoltura biologica e/o dinamica. Mi rendo sempre più conto che questo tipo di vini vanno ormai al top della mie preferenze gustative, a prescindere dal discorso filosofico-salutistico. Ne bevo uno, mi piace molto. Poi magari dopo scopro che è un vino naturale. Succede sempre più spesso, evidentemente non è un caso. Andiamo a vederli:

Crèmant d’Alsace – Julien Meyer

Molti il Cremant d’Alsace non sanno nemmeno cosa sia, molti altri ne sono detrattori a prescindere. Peccato, perché avendone provati parecchi, trovo in questa tipologia un livello medio molto alto ed un rapporto qualità-prezzo dal quale i Franciacorta dovrebbero imparare molto. Julien Meyer ne è un superlativo interprete, anche se la sua gamma va ben oltre ed i suoi Riesling sono piccoli gioielli da scoprire. Viticoltore ribelle, antiglobal in tutto e per tutto, assente da tutte le guide e privo di sito internet, non utilizza solfiti, farmaci ed elementi chimici nella sua produzione. 80% Pinot Bianco e 20% Auxerrois per questo Cremant incredibilmente suadente al naso, spaziando dal fieno allo zafferano, dai fiori bianchi alla frutta esotica. Cremoso e fresco in bocca, risulta morbido pur essendo privo di dosaggio, di incredibile bevibilità. Perlage elegante che avvolge il palato, ha quel sapore genuino e sbarazzino che lo rende perfetto per il nostro scopo, da aperitivo elegante a degno compagno di primi di pesce a grande amico di brindisi all’aria aperta, magari insieme alla corallina ed alla torta pasquale.

Golfo dei Poeti Bianco 2009 – Santa Caterina

Ecco il vino che più ha spiazzato in questa serata. Un bianco ligure, in quel lembo di terra che dal Golfo dei Poeti, quello di La Spezia, si estende verso la Toscana, proveniente da un vitigno che raramente viene vinificato in purezza, l’albarola. Santa Caterina fa dei vermentini da autentico sturbo, uno dei quali con macerazione di una settimana che è probabilmente uno dei bianchi italiani più buoni che io abbia assaggiato di recente. E’ un’azienda piccola, ad approccio naturale anche se senza certificazioni, e dallo stile di questa albarola si capisce al volo. Colore con netta tendenza al dorato, profumi netti di vigna, di frutto della terra, con sentori animali e ritorni fruttati intensi, quasi a richiamare ananas, mela e pera in macedonia. Assaggiandolo conferma le sue caratteristiche contadine, regalando un bell’equilibrio tra parti dure e parti morbide, con un bel finale. E’ il vino da scampagnata per antonomasia, da bere a litri senza mai stancarsi e senza disdegnare abbinamenti di un certo livello. La lasagna ai carciofi ci stava bene, ad esempio. Io ci azzarderei anche un pesto, per rimanere in zona. O perché no, una bella preparazione a base di baccalà.

Campo Rombolo 2006 – Le Calle

Toscana. Ma né quella aristocratica di Montalcino o superinflazionata del Chianti. E nemmeno quella modaiola della Maremma. Siamo a Montecucco, ai piedi del Monte Amiata, tra riserve naturali ed oasi faunistiche, tra castagneti e boschi. Qui c’è l’azienda agricola biologica Le Calle, una delle tante realtà che stanno silenziosamente rilanciando il vino in questa zona, nonostante abbia una storia profonda che va molto indietro nel tempo. Non a caso nella DOC Montecucco il Sangiovese dev’essere almeno l’80% e spesso va oltre, un bel modo per testare il re dei vitigni rossi in un contesto più vero, rurale ed agricolo delle sue controparti pluristellati. Nel Campo Rombolo, etichetta di mezzo nella scala di produzione de Le Calle, ce n’è l’85 ed il restante 15 viene da Canaiolo, combinazione tipica anche nel Chianti. In più questa bottiglia è stata fatta riposare circa tre anni dopo la sua uscita, non poco per un vino concepito per bevuta giovane. Il risultato è un naso sanguigno e schietto, di viola e frutta fresca, con tocchi di inchiostro e china. Al gusto si materializza l’importanza del Sangiovese, la sua intensità, i suoi tannini eleganti, il suo sapore sincero. Lascia ricordi balsamici e chiama al secondo e terzo sorso. Da barbecue, senza esitazione alcuna.

Salice Salentino Il Pioniere 2009 – Natalino Del Prete

Il bello del vino deriva anche dai personaggi che ci sono dietro e Natalino Del Prete è uno di quei personaggi che ti rimane impresso, forse perché l’entusiasmo della sua semplicità è talmente genuino che risulta essere un qualcosa di completamente diverso dal radical-chicchismo diffuso tra sedicenti vignaioli circondati da consulenti e wine-makers. Il Salento di Natalino è fatto di vini antichi nel senso più positivo che questo termine può avere. Qui il Negramaro sa di Negramaro, il Primitivo di Primitivo, l’Aleatico di Aleatico. Sembra banale invece è tutto, specialmente in Puglia dove da sempre la quantità ha il sopravvento su tutto e dove la moda in tempi recenti ha tentato di spazzare via le tradizioni. Il Pioniere è un Salice Salentino che invece spazza via tutto quello che il vacanziere casuale potrebbe aspettarsi. Concentrato ma non lucidato nel suo bel rubino scuro, il 20% di Malvasia Nera che complementa il Negramaro dona quella nota leggermente aromatica che smussa un olfatto selvatico, anzi, selvaggio: terra bagnata, stalla, frutta essiccata al sole. Profumi che prendono un contorno più delicato dopo qualche ora di riposo nel bicchiere e che rispecchiano una spiccata mediterraneità, seppur scura e non necessariamente balneare. In bocca si conferma, succoso e pieno, sapido e di gran frutto. Finale lungo ed appagante. Un vino rustico di classe che saprebbe accordarsi bene anche con un panino ma che sfodera le sue carte con l’abbacchio pasquale, in varie salse ma anche con dei bei formaggi stagionati.

Moscato d’Asti 2010 – Vittorio Bera

La chiusura in dolcezza per antonomasia, quando c’è da festeggiare ma non solo. Vittorio Bera è un grande interprete del Moscato d’Asti, uno dei pochi produttori naturali di questa tipologia, tra le più inflazionate del mercato. Il rischio ricorrente quando si beve moscato (d’Asti ma non solo) è di rimanere stuccati da una dose zuccherina esagerata che magari vada a coprire le magagne di un vino che non ha altro da offrire. I Bera, con base a Canelli, la patria del Moscato Bianco, dedicano a questo vitigno la maggior parte della loro arte vinicola (ma non sono da sottovalutare i loro vini fermi) e ne offrono una versione splendida, dalla bella tinta brillante e dal tipico naso di pesca con note sciroppate ed agrumate e soprattutto con un gusto da beva compulsiva corroborata da una suadente mineralità che ben si fonde con acidità e dolcezza. Si può bere da solo in ogni momento visti i suoi 5.5% d’alcool, si può accompagnare ai dolci di praticamente ogni tipo ma non disdegniamone un utilizzo alternativo, ad esempio come aperitivo o perché no per accompagnare dei formaggi erborinati o scaglie di parmigiano.

Grazie ancora a tutti i partecipanti, ci vediamo il 22 maggio con  i vini per l’estate provenienti da vigne sul mare! Non mancate!

martedì 19 aprile 2011

Le follie del Vinitaly


Per spiegare il Vinitaly a chi non c’è mai stato, suggerisco di pensare ad un gigantesco luna park nel quale però per accedere alle attrazioni più importanti c’è bisogno di una raccomandazione di quelle grosse. Oppure bisogna essere un politico, un attore famoso, un imprenditore con le tasche piene. Il Vinitaly è così, solo che le attrazioni sono i vini e quelle più importanti sono le aziende produttrici dei vini tribicchierati, cinquegrappolati o superstellati il cui prezzo, quando sotto le tre cifre, non comincia mai con un numero più basso del sette. Per fortuna, almeno nel mondo del vino, non sempre le attrazioni più importanti sono quelle migliori. Ma metafore a parte, vi racconto la mia avventura (di un giorno) al Vinitaly 2011.

Per la prima volta decido di sfidare la folla e di andarci di sabato. Arrivo col regionale da Cerea, a Verona sembra estate e la navetta gratuita che dalla stazione porta in fiera è come sempre strapiena. Alle 10,30 circa, mezz’ora dopo l’apertura dei cancelli sono dentro, non prima di essermi gustato le solite patetiche scene in cui centinaia di produttori vengono chiamati al cellulare da avventori amici-parenti ed amici di amici ai quali è stato promesso un ingresso gratuito che faccia evitare il pagamento di 45 lauti euri per il biglietto giornaliero. E’ un fiorire di braccia alzate, di segni di riconoscimento, di salti tra la folla che nemmeno al San Paolo quando c’era Maradona. Inevitabile, divertente ma anche frutto di confusione che si aggiunge a quella che già comunque ci sarebbe. Forse è il caso di abbassare il prezzo del biglietto? Io la butto là.

Dopo il primo anno in cui ho vagato per ore senza metà e tuffandomi nei primi stand disponibili, ho capito due cose del Vinitaly: è fondamentale farsi uno schema dei produttori che si vogliono visitare, servendosi anche del funzionale sito della manifestazione che indica il posizionamento di tutti gli stand, ed è quasi necessario girare per i padiglioni da soli. Se si va in gruppo, la cosa migliore è dividersi e darsi un appuntamento a pranzo o a fine giornata, perchè per quanto si possa condividere l’interesse e la passione, ci sarà sempre qualcuno tentato da qualcosa che all’altro non interessa e alla fine si finisce per arrivare a fine giornata senza aver visitato nemmeno la metà delle aziende messe in programma.

Pragmatico quale sono, ho cominciato il mio giro e già di prima mattina tra un padiglione e l’altro e tra gli stand campeggiavano pseudo-veline con mise incommentabili, spesso marchiate con il brand vinicolo di turno, meglio se argentato, dorato o fluorescente. Sobrie come il pecorino nel caffè latte, queste eno-modelle sembravano attirare l’attenzione di molti di quei visitatori casual che al Vinitaly vengono solo per inciuccarsi e magari rimediare i contatti per una bella serata sul Lago di Garda. Come vedete, di vino sembra quasi difficile parlare perchè il Vinitaly è soprattutto questo, insieme a business-men incravattati che accedono nei dietro le quinte degli stand più lussuosi, forse per fare affari o public relation, sicuramente per farsi belli bevendo i vini top di cui sopra che voi umani, anche se avete pagato i famosi 45, non potete neanche immaginare.

Fortunatamente sono passati i tempi in cui andavo a caccia disperata di un sorso di Sassicaia o di un Barbaresco Gaja (si lo ammetto, quei tempi ci sono stati, è il prezzo da pagare per l’indottrinamento post-corso AIS). Sul mio personalissimo cartellino avevo segnato alcune aziende che volevo scoprire più da vicino, magari perché avevo conosciuto i loro vini in una sola occasione, o perché amici fidati me ne avevano parlato bene o semplicemente perché mi incuriosivano. Ho approfondito una zona vinicola campana molto vicina a Roma e pochissimo nota, quella di Galluccio, della quale sottolineo i be prodotti di Porto di Mola, aglianici che nulla hanno da invidiare a quelli di zone più rinomate ma con prezzi decisamente più accessibili. Ho iniziato la giornata con piacere vagando per gli stand del Trento DOC, dove ho trovato molti sorrisi e molta cordialità oltre a piccole chicche spumatistiche di aziende dai numeri esigui quali Revì e Letrari. La ricerca di frizzantini di classe è continuata nel padiglione dell’Oltrepò Pavese dove devo dire di non aver trovato la stessa simpatia trentina, specialmente nello stand del Consorzio della DOC dove un supponente sommelier, probabilmente reclutato in loco, alla mia richiesta specifica di un vino mi ha risposto a mezza bocca senza quasi guardarmi “non ho bicchieri puliti”. Credo che si commenti da solo.

Molto meglio invece nel mantovano, dove da Cà Roma e alla Cantina Sociale di Quistello ho trovato ulteriori conferme nella qualità del lambrusco di questa zona, elegante e rustico il giusto. Tra l’altro di Cà Roma notevoli anche i due metodi classici. Passaggio veloce nella Toscana meno rinomata, con due perle: la Cantina Cecilia, dell’Isola d’Elba e Macea nel maremmano. La prima cantina esprime i vini isolani in maniera elegante e sincera, la seconda traduce con la biodinamica la qualità di un territorio troppo spesso sfruttato male. In entrambi i casi, gentilezza e passione hanno accompagnato la degustazione. Prima di chiudere non potevo dimenticare un giro nel padiglione del Lazio, non solo per spirito campanilistico ma anche per testare la situazione della mia regione a livello nazionale. Al solito l’affluenza è maggiore in altre regioni ma ho visto qualcuno interessarsi anche a realtà in grande crescita. Su tutti cito i grandissimi Cesanese di Olevano di Damiano Ciolli, la bella gamma di Marco Carpineti (ottimo il brut da bellone!), ed i confermati Chardonnay di Paolo e Noemia D’Amico.

Il tempo passa veloce e la temperatura si alza inesorabilmente, dopo la pausa pranzo con panino comprato prima all’esterno per evitare il salasso dagli stand della fiera, l’energia cala ed alle 15,30 mi sono avviato verso l’uscita, mentre anche le veline accusavano il precoce avvento dell’estate veneta e si siedevano alla prima ombra noncuranti del look e degli sponsor che avevano appicicati addosso. Nel frattempo per me, navetta-stazione e treno verso l’hotel preso al volo che più al volo non si può. In mente la sensazione del caos, della fatica, della lista che mi sono fatto e della quale non sono riuscito a percorrere nemmeno metà cammino. Ma chi me lo fa fare, mi chiedo, come ogni anno. E come ogni anno già so che il prossimo sarò di nuovo qui.


giovedì 14 aprile 2011

VinoVinoVino e VinNatur, resoconti e soddisfazioni


Una delle cose che si sente dire spesso nel mondo del vino è che i vignaioli non amano le fiere. Spesso sono costretti a parteciparvi, certo, perchè in fondo rimane il modo più veloce ed in alcuni casi anche l'unico possibile per farsi conoscere da appassionati e da potenziali clienti provenienti da tutto il mondo. Però il vignaiolo vero, quello che la parola business non sa nemmeno come si scriva, vive queste fiere come un qualcosa di lontano dal proprio essere, che poi coincide con gli scarponi sporchi di terra, le visite in vigna all'alba ed il profumo del mosto che si espande nell'aria. E' per questo che per certi versi due manifestazioni come VinoVinoVino, a Cerea e VinNatur a Villa Favorita, sono eventi atipici. In queste fiere del vino infatti c'è tutto tranne che il glamour, non si respira per niente aria di burocrazia da ordinazioni e contratti ed è raro, se non impossibile, vedere avventori in giacca a e cravatta. Soprattutto, a servire i vini dietro ad ogni banco ci sono i produttori stessi, qualche volta accompagnati da moglie, figli, persino dai propri cani. Non v'è traccia di hostess in minigonna reclutate per l'occasione che sanno a malapena distinguere il bianco dal rosso e che se gli fai una domanda sul vino che stanno servendo, se va bene ti rifilano un depliant. Ed in fondo fanno bene, loro sono lì per lavorare e nessuno le ha informate su macerazione e malolattica. Cerea e Villa Favorita sono le vetrine più importanti in Italia e tra le più importanti nel mondo per i vini naturali, due manifestazioni ormai consolidate dove si ritrovano quelli che molti chiamano i talebani del vino, vale a dire gli strenui difensori delle vinificazioni senza solforosa, senza filtrazione, senza farmaci, insomma senza aggiunte esterne all'uva ed al suo territorio. E' un mondo dove effettivamente gli estremisti a tutti i costi non mancano, sia tra chi il vino lo fa sia tra chi dice di amarlo, magari più per moda antagonista o per un forzato anticonformismo che altro. Ma la stragrande maggioranza di chi affolla l'AreaExp di Cerea, un luogo perfetto per manifestazioni simili o la suggestiva Villa Favorita immersa nel favoloso scenario dei vigneti del vicentino, è gente che ha voglia di conoscere realtà minuscole, che sappiano esprimere il territorio tramite una filosofia talmente semplice ed antica da risultare rivoluzionaria.
Cerea è un paesino piccolo ed organizzato, l'emblema di quel nordest da immaginario collettivo dove i parchi sono verdi e puliti e non c'è un pezzo di carta per strada. A quaranta minuti di treno regionale da Verona, non c'è molto da fare oltre che prendersi uno spritz o passare al bancomat, visto che bar e banche popolano il corso lasciando le briciole alle altre attività commerciali. Poi c'è l'AreaExp, un piccolo gioiello di architettura moderna dove lo stile rustico si mescola a quello industriale senza risultare nè freddo nè pacchiano. A due passi dalla stazione e con un ampio parcheggio, ospita ormai VinoVinoVino da qualche anno con un'organizzazione invidiabile. E' quindi qui che la brigata di ViniVeri, guidata ora da Paolo Bea, si ritrova con molti ospiti graditi. Villa Favorita invece non è facile da raggiungere per chi non viaggia in auto visto che la stazione più vicina, quella di Montebello Vicentino, è a quasi 4km di distanza e scordatevi di trovare un taxi o qualcosa di simile: siamo nel deserto. Fortunatamente esiste un servizio-navetta ma non ci sono orari fissati, quindi va un pò a fortuna. Insomma, il risultato è che io mi sono fatto i quasi 4km a piedi, sotto un sole che nemmeno a ferragosto e con tanto di trolley al seguito visto che la sera ero di ritorno. Ma alla fine sono stato ripagato da un setting splendido, una villa spettacolare ed una giornata che sapeva di scampagnata d'altri tempi. Complice ovviamente la presenza di chicche da un pò tutto il mondo, dalla Loira alla Stiria, Dalla Basilicata alla Borgogna.
Sia in una che nell'altra manfestazione, i produttori sono entusiasti quando qualcuno si avvicina al loro tavolo e nella maggior parte dei casi anche quando sono sommersi da calici da riempire, cercano di accontentare tutti e di essere il più esaurienti possibile nel descrivere le loro creazioni. Tra i tanti,di Cerea vorrei sottolineare la cortesia di Arianna Occhipinti che, sola dietro ad uno stand preso d'assalto, spiegava i suoi sempre più buoni Frappati di Vittoria con sorrisi e cortesia misti ad un fascino mediterraneo-arabeggiante che si ritrova nei suoi vini, come la sua naturalità. Una menzione è d'obbligo anche per Christian e i produttori presenti allo stand dei distributori de Les Caves de Pyrene, scopritori di perle indimenticabili come gli Champagne di Demarde-Frison (grande interprete dell’Aube, una zona che cresce sempre di più) o il curioso Bianco delle Suore Carmelitane Trappiste di Vitorchiano. Anche da loro, tanta gente e tanta cortesia. A Villa Favorita invece un grazie particolare va a tutti i produttori di Champagne presenti, Laherte-Freres, Simon Selosse e Franck Pascal, capaci di far fronte alla pioggia di richieste della domenica mattina con manualità da piovra e simpatia proverbiale. Ma non posso dimenticare l'umiltà contadina di Natalino Del Prete (che buoni i suoi rossi salentini!), l'entusiasmo dirompente di Lusenti dai Colli Piacentini ed i suoi notevoli frizzanti insieme a due passiti da urlo oppure i Franciacorta di Aurelio di Casa Caterina, una vera e propria svolta nella denominazione.
Mi dispiace per tutti quanti non cito, sono quasi quattrocento produttori e non avrebbe senso fare liste. Quello che mi preme dire è che la qualità media è molto, molto alta, che i prodotti forzatamente estremi da risultare imbevibili sono sempre meno e che ho avuto modo di capire una volta di più zone vinicole altrimenti distrutte dai prodotti di massa (una per tutti, la bassa Maremma, della quale proverò a parlare appositamente in un post successivo). Credo fermamente che questa realtà, quella del vino naturale rappresenti quello che il mondo del vino dovrebbe essere, al di là di gusti personali o preferenze di tipologia. Penso che tornare a stabilire un rapporto sincero con il pubblico, che sia del settore o no, sia una cosa fondamentale e che sia molto più importante di brochure patinate, stand luminosi o slogan accattivanti. Il vino nasce in vigna e della vigna dovrebbe portare in alto lo spirito. A Cerea e a Villa Favorita, chiudendo gli occhi su qualche eccesso, sulle solite divisioni e sulle prese di posizione esagerate che non mancano mai, un po’ in vigna mi ci sono sentito. Ed oltre ai sapori dei tanti buoni vini che ho degustato, mi porterò dietro anche la sensazione, fortunatamente immaginaria, del fango sugli scarponi. Aspettando le prossime edizioni e sperando che prima che arrivino possa parlarvi di tante visite direttamente in cantina.