sabato 31 marzo 2012

Resoconti dal Veneto 2012


Le fiere venete del vino sono terminate ed io sono di ritorno dalla consueta full immersion tra stand e vignaioli, stanco ma soddisfatto per avere definito un quadro più o meno generale del panorama enologico che più mi interessa, cioè quello legato all’espressione reale del territorio e della tradizione. Quest’anno gli appuntamenti canonici con i vini cosiddetti naturali si sono arricchiti di un padiglione dedicato nell’ambito del Vinitaly rendendo così obbliagtoria una tappa nella mega-kermesse veronese alla quale venivano preferite già da qualche anno le manifestazioni di Cerea (Viniveri) e Villa Favorita (VinNatur). Inutile sottolineare ancora quest’ennesima divisione di cui tanto si è discusso ma non fa male ricordare che i tre diversi luoghi degli eventi, non necessariamente ben collegati fra di loro, hanno costretto molti appassionati a tour de force con conseguente esborso economico. Fortunatamente ho notato l’esistenza di parecchia solidarietà e collaborazione tra il pubblico assetato di vino naturale, con passaggi dati anche a sconosciuti, organizzazione di viaggi all’impronta, cessione di ingressi extra appartenenti ai forfait dell’ultim’ora. Ma buona volontà a parte, sarebbe molto meno problematico organizzare il tutto a distanze più concentrate, se proprio non si riesce a mettersi d’accordo per stare tutti insieme.

Questa volta non parlerò di quali vini mi abbiano colpito, o meglio prometto di farlo man mano, analizzando meglio i prodotti che per me sono entusiasmanti. Mi limiterò dicendo che il livello dei vini veramente naturali è piuttosto alto e noto con piacere che molti vignaioli continuano a crescere di annata in annata, senza pensare di essere arrivati. Ormai si può tranquillamente dire che i vini naturali sono “vini” a tutti gli effetti ed i riconoscimenti olfattivi e gustativi vanno ben oltre le “puzzette” o l’eccesso di acidità volatile. Sono tanti i vini che dimostrano come tutti i preconcetti ed i miti su un certo tipo di viticoltura siano ormai parte di un linguaggio critico prevenuto e/o poco informato. A Cerea, Villa Favorita ed al Vivit, ho bevuto vini naturali esili e grassi, di pronta beva e da invecchiamento, profumatissimi e chiusi, facili ed estremi, da tutto pasto e da conversazione. Ne ho bevuti anche di insignificanti e di inespressivi, di piacioni e di esageratament forzati. Ma vi assicuro che una volta entrati in questo mondo, che per me è il mondo che più appartiene al vino, ci rende conto di quanto la realtà convenzionale sia banale e piatta. I lieviti selezionati, l’abbondanza di solforosa, determinate pratiche di vigna e di cantina rendono i vini “dell’industria” (oltre che potenzialmente nocivi) una copia l’un dell’altro con modifiche secondo il target che all’etichetta si pone. Le eccezioni ci sono. Ma sono poche. Perché il vino è un alimento che si gusta prim’ancora di essere degustato, ed il gusto non mente. Bisogna solo allenarlo un po’.

Detto delle tante cose buone e delle emozioni vissute assaggiando e scambiando opinioni, riscontrando la disponibilità, la simpatia e l’onestà dei tanti produttori presenti, ecco invece una lista di ciò che mi ha reso perplesso:

Le cinque cose che non mi sono piaciute delle fiere venete sul vino

1)      La spocchia di certi viticultori i quali, barricati dietro le loro certezze assolute, guardano il resto del mondo dall’alto in basso, ti danno confidenza solo se sei loro amico (o forse loro cliente), reputano i vini degli altri veleno e nel 99% dei casi fanno pagare i loro uno sproposito. Questa singolare forma di snobbismo non è altro che la trasportazione nel mondo del vino del radical-chiccismo più infido, perché messo in atto da chi si  maschera da pseudo-contadino anarchico e ribelle e cattura magari l’attenzione dell’appassionato che si fida delle apparenze. Devo dire che i casi del genere purtroppo stanno aumentando e non vorrei che questa via sia percorsa da altri vignaioli che credendosi arrivati si permettono di far superare la loro passione dalla loro presunzione.

2)      La stasi della produzione laziale nell’ambito della naturalità reale. Il Lazio è una delle regioni in cui ultimamente fioccano le certificazioni biologiche ma quasi nessuna di queste rispecchia poi una produzione veramente naturale. La differenza tra biologico industriale e biologico artigianale è un tema troppo lungo da poter toccare nell’ambito di questo post ma certamente nella nostra regione l’artigianato in ambito vinicolo deve affrontare ancora molti, troppi ostacoli. A Cerea erano presenti quattro produttori laziali (uno dei quali – le Suore Trappiste di Vitorchiano – è in realta un progetto curato e seguito da Paolo Bea dall’Umbria), a Vivit uno e a Villa Favorita zero spaccato. In compenso nel padiglione del Lazio del Vinitaly (sempre più desolante) c’era il consorzio delle aziende vinicole bio, i cui vini sono però indistinguibili da quelli di agricoltura convenzionale. Un peccato perché il nostro terroir permetterebbe una viticoltura naturale di ottimo livello. Invece lieviti selezionati, chiarifiche e concentrazioni la fanno ancora da padroni.

3)      La confusione nei criteri di selezione delle aziende aderenti ai vari gruppi. Se vado ad una fiera del vino naturale vorrei trovare vini che, con le loro differenti personalità, rispecchino una viticoltura e delle pratiche di cantina ben identificate da dei protocolli, siano essi legali od etici. Invece noto che qualche produttore che sale sul carrozzone dei naturali viene accettato ed inserito nell’ambito delle manifestazioni, pur non rispettando determinati criteri fondamentali per farne parte. Detto per inciso, per me naturale non significa solo avere una certificazione, quello è solo un primo eventuale passo. Sappiamo tutti che l’essere etichettati bio in Italia non è sufficiente a garantire un vino veramente sano (oltre che ovviamente, buono).  Separarsi dai produttori convenzionali dovrebbe essere un modo per far capire al consumatore la vera differenza tra il gusto del vino “vero” e quello “industriale”. Una maggiore attenzione nella selezione non può che aiutare questi gruppi, i cui scopi sono nobili e che comunque per fortuna sono ancora in gran parte raggiunti.

4)      La difficoltà per raggiungere Villa Favorita per chi non è in macchina. Su questo punto torno perché mi sembra un tema largamente sottovalutato dai dibattiti e dalle discussioni sugli eventi. Villa Favorita è un luogo fantastico, con un panorama mozzafiato ed un’atmosfera d’altri tempi, molto adatta tra l’altro ad entrare in contatto con i vignaioli. Però è sperduto tra i vigneti del Gambellara, è a quasi 10km dalla stazione più vicina, Montebello Vicentino, servita poco e male dai servizi regionali. Di pomeriggio la navetta per tornare dalla villa alla stazione c’è ma chi arriva la mattina col treno farà meglio ad affrontare la scarpinata perché la prima navetta arriva (forse) intorno a mezzogiorno. Gli organizzatori dovrebbero sapere che l’evento attira molti visitatori che si spostano da altre parti d’Italia ed il treno è il mezzo più gettonato, specialmente per chi viene da lontano. Inoltre, visto che la manifestazione si svolge in semi-coincidenza col Vinitaly, molti alloggiano a Verona o dintorni e con i mezzi pubblici i due luoghi sono collegati piuttosto male. Insomma, se proprio si vuole mantenere la location suggestiva, si faccia in modo di dare una mano a chi non guida o non ha un mezzo proprio a disposizione. Non tutti riescono ad ottenere passaggi o ad avere la forza fisica di camminare a lungo sotto il sole.



5)      La scelta del gruppo Vivit di andare al Vinitaly. Lo premetto, non sono uno di quelli che si è scagliato preventivamente contro questa decisione, anche se creare l’ulteriore divisione mi sembrava alquanto inutile. Capisco le esigenze di tutti ed in fondo questi eventi servono ai piccoli produttori molto più che ai grandi, quindi avere a disposizione un pubblico più vasto, quello del Vinitaly, è economicamente comprensibile. Quello che non mi è piaciuto è il modo in cui è stato gestito il tutto all’interno del circo veronese: una sala angusta, con i produttori assiepati l’un l’altro, spazi strettissimi per gli avventori, attese all’ingresso per avere un (pessimo) bicchiere pulito, il dover sgomitare con i gruppetti di avvinazzati che sono purtroppo molto frequenti tra i padiglioni della Fiera di Verona in questo periodo. Tutto ciò ovviamente va a discapito della comunicazione col produttore e rende molto più asettico il contatto con i suoi vini, spesso gustati in fretta e furia in mezzo a nugoli di braccia. Aggiungo poi che chi, come il sottoscritto, avesse deciso di andare al Vinitaly quasi esclusivamente per il Vivit, era comunque costretto a pagare le 50 euro dell’ingresso giornaliero. Ovviamente tutto questo non è colpa dei produttori ma quando si è deciso di andare lì, certe cose potevano essere facilmente intuibili. Speriamo in un miglioramento nell’anno venturo.