martedì 25 novembre 2014

Ed ora, qualche birra buona

Il blog si chiama wine vibration ma ciò che mi ha spinto ad immergermi nel mondo del bere bene, a dir la verità, è stata la birra. Galeotto fu un viaggio in Belgio di oltre 15 anni fa, dove riuscì a vedere da vicino e ad approfondire quello che era un'interesse già presente ma vissuto superficialmente. Ed è paradossale perchè quel viaggio mi fece capire l'importanza della bevanda a tavola, l'arte dell'abbinamento col cibo, il modo di concepire un prodotto partendo da cultura e tradizione e passando per creatività ed entusiasmo. Per questo mi fanno ridere le faide tra amanti del vino e birrofili, così come guardo con simpatia e con un pizzico di superbia il boom delle birre artigianali che ormai sembrano diventate un calderone in cui troppi si buttano anche senza averne diritto.

Detto questo, continuo a bere volentieri e spesso birra, viaggiando tra stili, tipologie e paesi e sempre alla ricerca di artigiani in grado di offrire prodotti di qualità. In questo post parlo di quelle che mi sono piaciute di più ultimamente, e conto di fare di questo resoconto birrario un appuntamento mensile del blog, sperando di fare cosa gradita. Mi fermerò alla sostanza ma per avere più informazioni e curiosità, allego i link di ogni birrificio. Prosit.

Moor Nor Hop (Golden Ale) giovane birrificio inglese del Sommerset con birraio americano, Moor fonde le tradizioni dei due paesi producendo birre di grande equilibrio e gusto. La Nor Hop, bevuta alla spina, pur essendo fatta con luppoli americani, mantiene la classicità delle golden ale inglesi. Tipico colore dorato pallido, floreale ed agrumata senza esagerare, ha un finale di contrasto dolceamaro. Beverina come poche, da aperitivo ma anche da pesce al forno con patate.

Ritterguts Original Gose (Gose) stile che spiazza, Gose sono birre saline ed acide che ricordano non solo per assonanza le Gueuze belghe anche se prodotte in modo completamente diverso. E' la birra di Lipsia ed è ovviamente da qui che viene questo storico birrificio. L'ho provata sia in bottiglia che alla spina. In entrambi i casi è quasi piatta (pochissima schiuma), colore dorato medio, profumi lattici e di acqua marina, con tocchi vegetali. In bocca arriva l'acidità ed una salinità presente ma non esuberante, ed un corpo esile ed al contempo tonico la rendono irresistibile e gustosissima. Da bere e ribere, in ogni occasione, anche a tutto pasto.

Birrificio Sant'Andrea Funky (Porter) l'anima punk la fa da padrone in questo birrificio vercellese, che in realtà trasferisce uno spirito libero, anche musicalmente parlando, alle sue birre. Ed è bello non prendersi troppo sul serio in un mondo che in alcune situazioni sembrava volere rincorrere ambienti troppo patinati. Non si prendono sul serio ma sono serissimi quando lavorano e si vede il risultato anche in questa Funky, una porter (bevuta in bottiglia da 0.33 purtroppo in un triste bicchiere di plastica) che risulta piacevolmente morbida e per niente pesante nonostante i suoi 6.6%. Classiche note tostate giungono al naso dal suo bel nero lucido, leggera affumicatura, bellissimo impatto al palato, gusto profondo e non stancante, il tutto per una birra versatile, compagna di una bevuta in libertà ma consigliatissime in abbinamento ad un bel pranzo invernale, magari a base di polenta ai funghi e formaggi.

Fyne Ales Jarl (Session Ale) nel mezzo della desolata quanto affascinante campagna scozzese non ci sono solo distillerie ma anche questo eccellente birrificio in opera dal 2001. Le loro birre puntano al sapore e sono tendenzialmente di bassa gradazione, L'esempio più fulgido del loro stile è senza dubbio la Jarl, esistente dal 2010 ma già pluripremiata, viene indicata come "session ale", il che rende l'idea. Non arriva a 4 gradi, è classicamente bionda, secca, agrumata, di buon corpo ed incredibilmente beverina, Altra ale per gli amanti del genere che saprà conquistare anche il bevitore casuale. Bevuta alla spina.

Math La 70 (Belgian Ale) visto che finora ho parlato solo di birre beverine o giù di lì, concludo con una birra proveniente da questo interessante birrificio toscano, situato a Tavernelle Val di Pesa, vicino Firenze, e creato da un birraio, Mathieu Ferrè, che in realtà è franco-spagnolo. Le sue birre sono numerate e riportano in etichetta una frase emblematica. La 70 è una ale in stile belga, tipologia che affrontata lontano dal suo paese d'origine può portare spesso a squilibri a favore di un alcool preponderante sul gusto. Non è questo il caso. Qui troviamo si un corpo robusto ma il bel mix di spezie dolci, arancia amara e note erbacea la rendono rotonda e persistente. Soddisfacente a tavola in abbinamento al risotto zucca e salsiccia, com'è capitato di berla a me, in bottiglia da 0.75


domenica 16 novembre 2014

Edelzwicker - Gerard Schueller

La premessa è obbligatoria: questo è un vino che non potrà piacere a tutti. Almeno non ancora. Non ancora perchè quel piccolo, buio e nascosto angolino di ottimismo che risiede da qualche parte dentro me mi fa sperare che un giorno certi vini accoglieranno i favori del grande pubblico, che comincerà a trovare banali i vini bellocci e tecnicamente perfetti che sono spaventosamente tutti uguali e che non fanno porre domande a chi beve.
Perchè dico questo? perchè l'Edelzwicker di Gerard Schueller non accetta compromessi: è un vino della casa nel miglior senso del termine. D'altronde con il termine "edelzwicker" che si traduce con "uvaggio nobile" si etichettano quei vini ottenuti appunto con l'insieme di diversi vitigni (Riesling, Muscat, Pinot Grigio e Sylvaner soprattutto), una pratica che in Alsazia è storicamente riservata per il vino semplice, mentre per i vini più importanti si vinifica in purezza, con risultati spesso grandiosi che portano i bianchi regionali ad essere tra i più eleganti e quotati del mondo.

Facile allora trovare edelzwicker di pessima qualità, anonimi, fatti per un mercato poco curante della qualità. Ma alla versione di Gerard Schueller tutto si può dire tranne che "anonimo". Viticultore che non si è lasciato travolgere dalla moda, vinifica ottimi bianchi su diversi Grand Cru senza interventi in vigna e in cantina, compresa l'assenza totale di filtraggio e solforosa, dimostrando che l'eleganza dei vitigni alsaziani può emergere anche lavorando
in maniera rispettosa della natura e della tradizione. Nel suo Edelzwicker, in bottiglia da litro, questo concetto è portato all'estremo assoluto. Colore giallo dorato che vira verso il nocciola, totalmente torbido (mi sarebbe piaciuto farlo giudicare all'AIS con la loro mitica scheda a punti che classifica anche la limpidezza), impatto olfattivo tagliente, da note nette di acetone, vernice e qualcosa di colloidale fino all'ingentilimento della frutta esotica, albicocca secca, succo di mela, erba di campo. Poi si assapora ed ecco la lama che divide in due lingua ed opinioni: acidità esuberante, forte, forse esagerata. Note di volatile senza dubbio, e siamo al solito discorso, chi la reputa, almeno in alcuni vini, un implemento alla facilità di beva (è il mio caso), chi non la tollera mai. Qualsiasi sia l'opinione, è bello andare avanti e godersi la semplicità che amplifica il territorio e la sua mineralità, la sua personalità, la sua storia. Lunga la persistenza e bellissimo il sapore. Vino da merenda da bere in qualsiasi occasione, io l'ho trovato un ottimo compagno della pasta con salsa alle noci. Pensa te.

Gerard Schueller non ha un sito ed è anche raro trovarlo a manifestazioni vinicole ma sarà contento di accogliere chiunque voglia andarlo a trovare in cantina, tra gli splendidi scorci alsaziani.
Questo è il suo indirizzo:

1 Rue des Trois Châteaux, 
68420 Husseren-les-Châteaux (a sud ovest di Colmar)
Alsazia, Francia



giovedì 13 novembre 2014

Paski 2011 - Cantina Giardino



Quando penso a Cantina Giardino non so essere felice per la crescita del successo dei loro vini o se rammaricarmi per il fatto che tutto sommato questa è ancora una realtà di nicchia nel mercato italiano. Contraddizioni tristemente tipiche in un paese maestro nel rigirare frittate e che rende vittime i carnefici e viceversa. In questo caso il paragone col mondo del vino, il carnefice che passa da vittima è la grande industria che tramite i suoi soliti ambasciatori attacca continuamente il mondo del vino artigianale trasformandolo in una realtà fatta di fanatici esaltati che con le loro fisse naturalistiche potrebbero mettere a repentaglio il sistema agricolo tutto. A questi maramaldi si accodano fenomenali blogger (ma blogger di mestiere, quelli che forse ce l'hanno pure sulla carta d'identità e non scribacchini da dopolavoro come il sottoscritto) che non perdono occasione per ricordare ai loro avidi seguaci che i vini naturali puzzano e sono solo una moda che passerà. Moda de che poi, visto che io in ogni bar/osteria/ristorante in cui mi capita di mettere piede da nord a sud vedo sempre e solo i soliti vini in scaffale, ma vabbè.





OK, lo spazio per la polemica di pancia è stato fin troppo e sicuramente ne ha tolto altrettanto al protagonista di questo, che è un vino per cui le parole d'elogio non sono mai abbastanza. Il Paski di Cantina Giardino è un vino a base del vitgno Coda di Volpe, autoctono irpino semidimenticato la cui essenza si può ritrovare in questa bottiglia. Come tutti i vini di Cantina Giardino, progetto culturale oltre che enologico fondato dal poliedrico quanto semplice vignaiolo Antonio Di Gruttola, il Paski non ha nessun tipo di compassione per il bevitore casuale e distratto: è un vino rustico nel miglior senso della parola. Macerato per tre giorni sulle bucce, l'assenza di filtrazione lo rende torbido alla vista, i profumi sono schietti e forti, dal fieno alla terra bagnata, ed al gusto si percepisce netta l'acidità, anche volatile, per quel tanto che è giusto da rendere il vino di estrema bevibilità


La gamma completa di Cantina Giardino, da scoprire
A rendere questo vino unico è la sua persistenza, che tradotto dai termini didattici significa il lungo sapore che ne resta in bocca dopo la deglutizione. Quel sapore che sa evolvere sorso dopo sorso, facendo trapelare mille note colorate dalla sua esuberante freschezza. Il passaggio parziale in piccole botti castagno è un tocco di classe che dona a questo vino persino una certa importanza. Da bere ogni volta che si vuole, spettacolare a tavola con i primi saporiti come un ragù bianco con funghi, tanto per dirne uno. Provatelo, se ne rimarrete affascinati non potrete far altro che addentrarvi nel mondo di Cantina Giardino, probabilmente innamorandovene.




Cantina Giardino s.r.l.
via Petrara n. 21/B
83031 Ariano Irpino (AV)

lunedì 10 novembre 2014

Beaune Les Mariages 2008 - Rossignol Trapet

Gira che ti rigira, cerco un rosso che mi rassicuri e mi viene in mente che l'unica cosa che può svolgere il compito senza troppi pensieri, è un Borgogna. Rosso, pinot nero, non particolarmente invecchiato. Qualcosa che possa soddisfare la voglia di bere apprezzandone le sue qualità date da un territorio che di per se dona al vino qualcosa di profondamente magico. Fortunatamente ho una bottiglia che è la risposta; il Beaune Les Mariages di Rossignol-Trapet, annata 2008.



Beaune è una denominazione che deriva dalla cittadina vinicola più grande della Borgogna, ed al suo interno si possono trovare parecchi cru e tante etichette diverse, avendo la più estesa quantità di vigne regionali. Tra le svariate parcelle di vigne non elevate a cru, c'è Les Mariages, situata a sud di Beaune e confinante con il Premier Cru di Greves. E' un territorio ciottoloso e limoso che permette agli acini di raggiungere una veloce maturità e di far nascere vini dal buon frutto, maturi, equilibrati, da bere entro cinque anni dall'imbottigliamento.

La cantina che in questo caso ha imbottigliato il vino tratto dalle uve di questa parcella è Rossignol-Trapet nata nel 1990 ma con alle spalle una centennale storia familiare legata al vino. Biodinamici certificati Demeter, i Rossignol-Trapet vinificano col minimo impatto umano e lasciano il vino esprimere la stagione e la territorialità, concetto che in Borgogna assume una dimensione elevatissimi. Ogni vino, anche da parcelle di vigne confinanti, parla per se e si distingue dal suo vicino, mantenendo quel fil rouge che per chi ama la Borgogna è inequivocabile.

Parlare di questo Mariages del 2008, bevuto probabilmente al suo apice, quasi non gli rende giustizia. Terroso e fruttato, cupo e gioioso, grasso ma fluido, è un vino che riesce a combinare tutti elementi apparentemente opposti con incredibile spontaneità. Mineralità presente con la consueta eleganza borgognona, il tratto del passaggio in legno è da manuale perchè accompagna senza arrotondare e prevalere. Potrebbe sembrare banale, anzi probabilmente lo è, ma questo vino è BUONO. 

Accompagnarlo ai pasti è facile perchè le sue mille sfaccettature lo rendono versatile, anche se la mia fissa rimane quella dell'abbinamento col pollame, in particolare il "coq au vin", il pollo brasato al vino che viene dal suo stesso territorio. Cercatelo e godetene tutti. Vi farà star bene e non vi farà pensare. Ogni tanto ci vuole.

venerdì 7 novembre 2014

Sidro e Calvados - Domaine Dupont

La Normandia è una delle poche regioni della Francia dove non si produce vino. Poco male. Su al nord sanno comunque come allietare le giornate riempiendo il bicchiere con ottimi prodotti locali, e se fa troppo freddo per l'uva, sono le mele a fermentare. Ed i risultati si chiamano sidro e calvados, orgoglio di queste lande "alla fine della terra". 

Il Domaine Dupont
Recentemente ho avuto modo di apprezzare i prodotti del Domaine Dupont, un' azienda familiare nel cuore del Pays d'Auge che ha tradizione centennale nel campo agricolo e che da circa 25 anni ha puntato tutto sulla qualità, distinguendosi dalla produzione standard regionale. Basti dire che da Dupont si producono sidri millesimati, riserva e con un'incredibile attenzione alla selezione delle mele. La stessa attenzione e passione si applicano per la produzione di uno dei distillati più sottovalutati del mondo, il Calvados.

 mele Verger, le più utilizzate al domaine
Tra i quattro sidri prodotti, quello di cui voglio parlare è il Cidre Organique, Biologico certificato quindi, che per le mele ha un senso ben più profondo che per l'uva, trattandosi di un frutto la cui produzione massiccia è diffusa in tutto il mondo.
Ma da Dupont non ci si limita ai requisiti richiesti dai dettami bio: questo sidro è rifermentato sui propri lieviti, non vede solfiti e non è filtrato. Un'autentico frutto del territorio quindi, ed il risultato è lì pronto a farsi gustare. Impatto prepotente al naso, tra mela cotta e note zuccherine, quasi esotiche.
i quattro sidri prodotti da Dupont
Al palato è l'acidità a farsi largo, facendo da base ad una complessità che si giostrà tra equilibrata nota carbonica e sfondo amarognolo. Incredibile piacevolezza, placa la sete ed accompagna ogni momento della giornata, compresi i pasti. Su tutti, consiglio abbinamento a formaggi a pasta molle ma dal sapore forte, tipici del nord della Francia.

Passando invece al Calvados, tra la vasta gamma prodotta, parlo qui dell'Hors d'Age, ossia invecchiato minimo 6 anni ed in questo caso in barrique nuove per il 25%. Ovviamente questo Calvados non raggiunge le impressionanti ed impegnative complessità di altri lungamente affinati o dei grandi millesimati (ce ne sono di oltre 40 anni ed il millesimato più antico risale al 1969) ma è un ottimo modo per approcciarsi al distillato potendone apprezzare il gusto ed oltrepassando la semplicità dei prodotti di base. Distillato doppiamente, prima arriva a 30% di alcool per ottenere quella che viene chiamata "petite eau", e poi aumenta il suo grado alcolico diventando Calvados vero e proprio, è elegante e raffinato, si distingue per i suoi aromi netti di frutta e fiori e per il suo bilanciamento tra alcolicità e tendenza dolce. Aumenta di spessore con la permanenza nel bicchiere e senza dubbio sarà capace di stupire se conservato negli anni. Dopo cena è assolutamente perfetto, e saprà conquistare anche chi rifiuta i distillati a prescindere. Irrinunciabile una volta provato.

I prodotti di Dupont sono abbastanza ben distribuiti in Italia ed i bravi enotecari non se li lasciano sfuggire, anche se il Calvados ha un mercato più facile del sidro, che però ovviamente ha costi molto più contenuti (circa 10 euro per la bottiglia da 0.75). Da cercare per esperienze diverse che potrebbero diventare piacevoli abitudini. 

martedì 4 novembre 2014

Ferrando - Quarticello

Al di là di quello che pontificano negli ambienti convenzionali e stantii del vino, dai degustatori professionisti ai blogger ammanicati, da quelli che "io solo champagne" a quelli che "io il prosecco solo all'aperitivo", è innegabile dire che alcune tipologie di vino sono state salvate da una monotonia triste grazie al ritorno della produzione di frizzanti "sur lie". Rifermentando in bottiglia sui propri lieviti e senza sboccatura, la classica "bollicina" si riprende tutto ciò che le è stato tolto da decenni di autoclave e imbottigliamenti seriali per brindisi anonimi. Allora niente più esuberanza di spumeggiamenti forzati in stile gazosa, niente più profumi sparati rassicuranti, niente più effetto gomma americana. I frizzanti sui lieviti non sono niente di tutto questo. Sono arcigni, frizzano poco e non sprigionano bouquet maestosi. Ma hanno un pregio che nessun wine-snob potrà mai negare: si fanno bere con estrema facilità.

E' logico che, come per tutte le tipologie, non sempre i "sur lie" sono ben fatti. Il rischio moda è dietro l'angolo ed allora bisogna stare attenti a non buttare tutto dentro al calderone. Fare un vino del genere sembra semplice, ma non lo è: ci vuole attenzione in vigna ed in cantina, i terreni devono essere sani e non contaminati, in cantina guai ad introdurre troppi strumenti esterni. Il segreto di questi vini è il saper trovare il giusto equilibrio tra tempi di raccolta e tempi di affinamento e la loro forza, mai come in questo caso, è la naturalità.

Per questo affidarsi a cantine che già da un pò hanno rilanciato questo metodo antico è sempre una garanzia. Ce ne sono tante fortunatamente e ne parlerò in altri post, ma in questo voglio dare il giusto merito ad un vino che mi è piaciuto particolarmente e ad una cantina che non delude mai: il Ferrando di Quarticello.




I vini di Roberto Maestri, patron dell'azienda agricola situata a Montecchio, provincia di Reggio Emilia, puntano decisamente alla piacevolezza del sorso. La sua malvasia frizzante Despina è un vino che è impossibile da non finire in pochi minuti. Ma quello che più impressiona è la personalità e il gusto dei suoi vini fatti col vitigno principe di questa zona storica di frizzanti: il lambrusco.

Declinato in differenti modi, a volte affiancato dal suo partner dimenticato, il malbo gentile, nel caso del Ferrando la macerazione è breve ed il risultato è un lambrusco (salamino) rosato e meno tannico del solito. Una bevuta che coniuga il rustico all'eleganza, sfruttando un itinerario gusto-olfattivo che parte dalla freschezza e dalla semplicità del profumo dell'uva fino ad una profondità tutta in evoluzione dentro la bottiglia che conserva i propri lieviti, facendo si che il vino cresca e cambi nel tempo. L'assenza di filtrazione ed il quasi nullo utilizzo di anidride solforosa lo rendono schietto e fruibile ad ogni occasione, Abbinabile dall'antipasto di affettati a paste al forno, passando per secondi leggeri o da bere da solo per ingannare l'attesa stuzzicando qua e là. 

Non mortificatelo in una flute, utilizzate un normale calice, perchè no anche un bel bicchierozzo da osteria. Sono vini del popolo che male si trovano in ambienti patinati. Per questo hanno grande dignità. come questo Ferrando. Rosa ed elegante ma sempre capace di dire la sua.