Piccole cose, come sempre,
fanno la differenza. Anche se la paella e
la tortilla preparate dalla nostra
amica Laura non erano propriamente piccole, non solo per la quantità dovuta
all’affluenza record (grazie a tutti!) ma soprattutto per il grande lavoro
fatto ai fornelli. I vini sono i protagonisti delle nostre serate ma in questo
caso lo chapeau alla cuoca è d’obbligo:
abbinamenti vincenti come non mai e la serata ha raggiunto livelli di godimento
assoluti.
Allora, leccandomi ancora i
baffi al solo pensiero, andiamo a rivivere insieme i momenti trascorsi durante
questo virtuale viaggio in Spagna attraverso vini che hanno sorpreso e
conquistato. Siamo partiti con due bianchi molto diversi e a quanto pare, con
mia gioia perché li adoro, molto apprezzati. Il primo è il Rueda Verdejo 2010 di Protos,
portabandiera di una zona storica per i bianchi spagnoli, quella Rueda che
grazie alla combinazione tra clima continentale, terreno sassoso e
caratteristiche organolettiche del vitigno Verdejo, si distingue per la
produzione di vini che riescono ad equilibrare eleganza e potenza. La bottiglia
in questione è una di quelle che una volta aperta si fa fatica a non finire in
breve tempo. Corrispondente a quelle che sono le linee olfattive tipiche del
Verdejo, al naso esplodono note di frutta bianca matura, pesca e frutta esotica
con un bella scia agrumata con leggeri tocchi di anice. Questa generale
piacevolezza ritorna al gusto dove una viva acidità accompagna la parte
fruttata fino al finale ammandorlato con tendenza all’amaro, anch’esso
caratteristica peculiare del Verdejo. La sua struttura non esagerata ed il suo
finale di media durata lo rendono un vino perfetto per accompagnare piatti di
pesce o tapas di verdure.
A seguire, siamo passati per
una zona che si distingue in tutto e per tutto da quello che l’immaginario
collettivo porta a pensare della Spagna: la Galizia, che nel lembo di terra a
nordovest del paese, ai piedi dell’Oceano Atlantico, tra correnti fredde e
magici panorami di scogliere, produce bianchi con uno dei vitigni più
entusiasmanti del panorama internazionale: l’Albarino. La denominazione è Rias Baixas e la cantina in questione è
Martin Codax, storico produttore
della zona e ad oggi una garanzia di qualità. L’Albarino è un vitigno aromatico
la cui esuberanza è però meno sfacciata di altri aromatici come Moscato o
Gewurztraminer, in quanto gioca tendenzialmente su note carnose, sicuramente
avvolgenti e sensuali ma per vini più “dritti” che rotondi. Non fa eccezione in
questa versione, ancora giovane nell’annata 2010 ma già capace di esprimere effluvi di agrumi su importante
sfondo erbaceo, traducendosi in un sorso quasi oleoso, grasso, di estrema
eleganza, con una sottile nota salina ed un bellissimo finale fruttato. Vino
che migliora col passare dei minuti, delle ore e senza dubbio negli anni.
L’affinamento in solo acciaio non intacca le magnifiche caratteristiche del
vitigno e del suo terroir, anzi ne esalta la struttura e gli aromi. Da
accompagnare a risotti, a paste all’uovo con i funghi porcini ma soprattutto al
mitico pulpo a la gallega per seguire
una tradizione inossidabile della tavola locale.
A questo punto è ora dei
rossi, e per il primo della serie abbiamo fatto l’unica deviazione nel sud, in
una denominazione poco nota, quella Jumilla
che tra le provincia di Murcia ed Albacete ha le sue vigne incastonate in terrazzamenti,
quasi a fare da spola tra una montagna ed un’altra. In queste condizioni
pedoclimatiche particolari, dove le estati superano i quaranta gradi e le
pioggie, seppur rare, sono repentine e violente, si adatta un vitigno dalla
scorza dura e dalla polpa soffice che si chiama Monastrell. Poco tannico, scuro
e speziato, nel nostro vino, il Luzon
2010 della Finca Luzon è
coadiuvato dal 30% di Syrah, con il quale si integra creando un interessante
chiaroscuro di sensazioni. Si parte da un olfatto di frutti di bosco maturi per
arrivare ad una decisa sterzata alle spezie con pepe nero, liquirizia e
cannella. Succoso e potente, con la parte alcolica in leggera evidenza (peccato
di gioventù), in bocca scorre con facilità, ammorbidito da tannini setosi e
finale molto piacevole. Da primi piatti belli carichi, penso a un ragù ben
fatto, un’amatriciana…o per andare su qualcosa di più esotico, perché non un
chili con carne?
Il rosso numero due è una
scoperta molto interessante, una bottiglia che mi ha entusiasmato perché è uno di
quei vini in grado di conquistare con calma, senza giocarsi la carta del “tutto
e subito”. Siamo nella classica zona “a scavallo” tra più regione, in quel Bierzo che è al confine tra Castilla,
Galizia ed Asturie, con un’azienda a gestione familiare di grande serietà, Castro Ventosa. Qui il vitigno locale è
il Mencia, il quale grazie ad una sua ottima struttura ed alla possibilità di
sfruttare un territorio ottimo con molti corsi d’acqua, abbondante sole ed aria
di alta collina, dà vini eleganti e piacevoli da giovani poi capaci di
acquistare in maturità e complessità quando invecchiati. Questo Castro de Valtuille è un 2008 che passa un paio di mesi in legno
e quasi due anni in acciaio prima di essere imbottigliato e pur promettendo una
lunga vita, già ora regala parecchie emozioni, tra l’altro crescenti nei
minuti. Parte infatti con note di frutta acerba e pot-pourri per aprirsi pian
piano su sensazioni più mature di mirtillo e ribes, caffè in polvere, olive
nere, spezie dolci. Al palato spicca la bella acidità a corroborare un
carattere scorbutico ma affascinante, con tratti affumicati, bella avvolgenza
al palato e sontuoso finale di frutta rossa. Si esprime con forza ma non fa
vedere i muscoli per dare spettacolo, sa essere discreto dicendo però
fermamente la sua. Ottimo con tutte le carni, da una fiorentina alla brace in
su.
Per concludere in bellezza,
obbligatorio passaggio nella più nobile zona del vino spagnolo: la Rioja. Regione capace di affermarsi sul
mercato a livello internazionale nonostante uno stile ed una tradizione che non
hanno mai portato a vini di facile consumo. Qui infatti è comune far affinare i
vini (anche i bianchi!) per lunghissimo tempo prima di essere messi in
commercio e questo dovrebbe portare al contatto con un vino maturo, complesso,
da capire. Purtroppo il mercato ha tramutato questo concetto in vini muscolosi
e pesanti, avvolti esageratamente avvolti nelle note vanigliate di barrique
nuove fino a coprire le potenzialità di un vitigno incredibile come il Tempranillo, che nelle sue migliori
versioni rivaleggia senza problemi con i grandi vitigni rossi del mondo. Eppure
è ancora la Rioja la zona nel quale si esprime al meglio, nonostante i giganteschi
miglioramenti di una DO considerata ormai quasi altrettanto nobile, la non
lontana Ribera del Duero. La piccola cantina Aribau ci ha garantito con la sua Cuvèe 2002 un espressione del Tempranillo lineare con la sua
tipicità e con quella di un territorio protetto dalle intemperie dalla Sierra
della Cantabria e con un mix perfetto di argilla e calcare nei suoi terreni.
Eleganza, longevità e struttura garantiti quindi, se in vigna ed i cantina si
lavora con le giuste intenzioni. Solo 12
mesi in legno nuovo ed i restanti otto anni tra acciaio e bottiglia, questa
Cuvèè ha un naso inevitabilmente intenso, con incredibili note fruttate e si
spezie dolci che si avvalgono della leggera smussatura tostata della barrique,
non invadente ma presente. Di sicuro è in bocca dove dà il meglio, mostrandosi
equilibrato nella sua importante struttura senza mettere in secondo piano
l’infinita bevibilità. Certamente orientato verso gusti più solari, impressiona
per la maniera di riempire il palato, ammaliando le papille gustative, quasi a
voler spingere a berne un altro sorso. Setoso, lungo, sembra chiedere ancora
anni per migliorare ulteriormente. Da godere al massimo con arrosti e brasati
ma forse ancor di più ad accompagnare dei formaggi stagionati.
Un applauso ai presenti ed un
altro ai vini spagnoli per aver dimostrato di esistere oltre i clichet ed averci accompagnato in
un’altra bella avventura. Ora vi aspetto il 20 novembre per il prossimo
appuntamento, quello di vitigni e terroir a confronto, dove scopriremo come
Syrah e Sauvignon Blanc sanno esprimersi in diverse regioni, da quelle francesi
di origine a quelle italiche di adozione. E lo faremo alla cieca, senza sapere
quale bottiglia è stata versata prima. Da non perdere!
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