Qualche
anno fa ho lavorato per un periodo ad un importante wine bar di Roma, uno di
quelli in cui vanno -non solo ma soprattutto- quei personaggi che hanno ogni
verità in tasca sul vino e tutto ciò che lo circonda. Quel tipo di personaggi
che possono attingere dalle liste de vini spesso permettendosi di spendere
cifre che ogni vero appassionato vorrebbe avere a disposizione quando messo al
cospetto di una grande cantina. La beffa è che quei soldi sono regolarmente
spesi per bottiglie che l'appassionato non ordinerebbe mai. Ma così va il mondo
e di scene da mani nei capelli ne ho viste a iosa. Ad esempio una sera
entrarono due signore dalla classica aria benestante, le quali, immerse nei
loro discorsi di medioalta borghesia, mi chiesero, col classico tono di chi ne
sa più di te, la lista dei vini alla mescita. Quando osai proporre loro un
Macon bianco descrivendolo come "un Borgogna da scoprire", una delle
due candidate al premio nobel della modestia sentenziò con veemenza "Macon
non è Borgogna". Ovviamente i miei timidi tentativi di spiegazione,
dettati per altro da fatti geograficamente e legislativamente inconfutabili,
sono stati cancellati dall’assolutismo della presunta onniscenza con cui ci si
scontra in situazioni simili. E’ in momenti come questo che vorresti vivere la
scena della coda al cinema di “Io ed Annie” in cui Woody Allen, sfinito dalle
logorroiche teorie su Marshall McLuhan del sapientone di turno, fa apparire
magicamente il filosofo che smentisce in quattro e quattr’otto l’insopportabile
soggetto. Tutto ciò è rimasto nella mia fantasia ma quello che mi consola è che
la signora sarà tutt’ora ancorata alle sue convinzioni mentre il sottoscritto
(e come me ogni vero appassionato) continua a crescere ponendosi domande. E
persino un misfatto del genere mi torna in mente nel momento in cui apro un
vino e lo apprezzo. Indovinate che vino? Si, proprio un Macon. Rosso questa
volta, ma da scoprire proprio come quel famigerato bianco.
Dire
che Macon non è Borgogna è un po’ come dire che la Maremma non è Toscana:
sicuramente non siamo nella nobiltà della regione, più a sud della Cote d’Or,
dove i vini hanno un carattere diverso, dove lo Chardonnay ed il Pinot Nero non
regnano soli ed incontrastati ma fanno timidamente spazio ai fratelli minori
Aligotè e Gamay. Scendono i prezzi, scende la gloria, forse scende la capacità
media di invecchiamento. Ma da queste parti, se ci si imbatte nella bottiglia
di giusta, si può godere spendendo intorno ai 10 euro. Ed è quello che mi è
successo con la bottiglia che vi sto per raccontare. La cantina, Domaine du
Vignes de Maynes, si vanta di essere la più antica cantina a praticare
agricoltura biologica. E’ comunque un domaine familiare ed i suoi vini hanno il
carattere sincero della vigna di una volta. Il Macon-Cruzilles Manganite è un
Gamay al 100% e nella sua versione 2005 è strepitoso: nelle sue sfumature di un
bel rosso intenso si incontrano note terrose e succose, una spremuta di frutta
di bosco che accarezza il naso sfumando delicatamente in amarene sotto spirito,
in spezie dolciastre, in sprazzi minerali. E’ il preludio ad un sapore pieno
che sa trasformarsi nei minuti, con fresca eleganza, misurata morbidezza. Il
vino è naturale al 100%, non è filtrato e non ha solforosa aggiunta e, anche se
gli scettici stenteranno a crederlo, è di una pulizia gustativa immensa.
Durevole dopo il sorso, capace di accompagnarci lungo tutto il pasto senza mai
prevaricare preparazioni saporite, persino piccanti. E seppur lontano dai
grandi Pinot Neri della Borgogna più importante, questo Macon porta con se
quello spirito regionale che lo ricollega ad un territorio unico capace di dare
un carattere indimenticabile ai suoi frutti. Può stare in cantina ancora
qualche anno e potrà emozionarci ancor di più. Da provare, senza indugi, senza
pensieri. E soprattutto, senza la signora del wine-bar.
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