Le fiere venete del vino sono
terminate ed io sono di ritorno dalla consueta full immersion tra stand e vignaioli, stanco ma soddisfatto per
avere definito un quadro più o meno generale del panorama enologico che più mi
interessa, cioè quello legato all’espressione reale del territorio e della
tradizione. Quest’anno gli appuntamenti canonici con i vini cosiddetti naturali
si sono arricchiti di un padiglione dedicato nell’ambito del Vinitaly rendendo
così obbliagtoria una tappa nella mega-kermesse veronese alla quale venivano
preferite già da qualche anno le manifestazioni di Cerea (Viniveri) e Villa
Favorita (VinNatur). Inutile sottolineare ancora quest’ennesima divisione di
cui tanto si è discusso ma non fa male ricordare che i tre diversi luoghi degli
eventi, non necessariamente ben collegati fra di loro, hanno costretto molti
appassionati a tour de force con conseguente esborso economico. Fortunatamente
ho notato l’esistenza di parecchia solidarietà e collaborazione tra il pubblico
assetato di vino naturale, con passaggi dati anche a sconosciuti,
organizzazione di viaggi all’impronta, cessione di ingressi extra appartenenti
ai forfait dell’ultim’ora. Ma buona volontà a parte, sarebbe molto meno
problematico organizzare il tutto a distanze più concentrate, se proprio non si
riesce a mettersi d’accordo per stare tutti insieme.
Questa volta non parlerò di
quali vini mi abbiano colpito, o meglio prometto di farlo man mano, analizzando
meglio i prodotti che per me sono entusiasmanti. Mi limiterò dicendo che il
livello dei vini veramente naturali è piuttosto alto e noto con piacere che
molti vignaioli continuano a crescere di annata in annata, senza pensare di
essere arrivati. Ormai si può tranquillamente dire che i vini naturali sono “vini”
a tutti gli effetti ed i riconoscimenti olfattivi e gustativi vanno ben oltre
le “puzzette” o l’eccesso di acidità volatile. Sono tanti i vini che dimostrano
come tutti i preconcetti ed i miti su un certo tipo di viticoltura siano ormai
parte di un linguaggio critico prevenuto e/o poco informato. A Cerea, Villa
Favorita ed al Vivit, ho bevuto vini naturali esili e grassi, di pronta beva e
da invecchiamento, profumatissimi e chiusi, facili ed estremi, da tutto pasto e
da conversazione. Ne ho bevuti anche di insignificanti e di inespressivi, di
piacioni e di esageratament forzati. Ma vi assicuro che una volta entrati in
questo mondo, che per me è il mondo che più appartiene al vino, ci rende conto
di quanto la realtà convenzionale sia banale e piatta. I lieviti selezionati, l’abbondanza
di solforosa, determinate pratiche di vigna e di cantina rendono i vini “dell’industria”
(oltre che potenzialmente nocivi) una copia l’un dell’altro con modifiche secondo
il target che all’etichetta si pone. Le eccezioni ci sono. Ma sono poche. Perché
il vino è un alimento che si gusta prim’ancora di essere degustato, ed il gusto
non mente. Bisogna solo allenarlo un po’.
Detto delle tante cose buone e
delle emozioni vissute assaggiando e scambiando opinioni, riscontrando la
disponibilità, la simpatia e l’onestà dei tanti produttori presenti, ecco
invece una lista di ciò che mi ha reso perplesso:
Le cinque cose che non mi sono
piaciute delle fiere venete sul vino
1) La
spocchia di certi viticultori i quali, barricati dietro le loro certezze
assolute, guardano il resto del mondo dall’alto in basso, ti danno confidenza
solo se sei loro amico (o forse loro cliente), reputano i vini degli altri
veleno e nel 99% dei casi fanno pagare i loro uno sproposito. Questa singolare
forma di snobbismo non è altro che la trasportazione nel mondo del vino del
radical-chiccismo più infido, perché messo in atto da chi si maschera da pseudo-contadino anarchico e
ribelle e cattura magari l’attenzione dell’appassionato che si fida delle
apparenze. Devo dire che i casi del genere purtroppo stanno aumentando e non
vorrei che questa via sia percorsa da altri vignaioli che credendosi arrivati
si permettono di far superare la loro passione dalla loro presunzione.
2) La
stasi della produzione laziale nell’ambito della naturalità reale. Il Lazio è
una delle regioni in cui ultimamente fioccano le certificazioni biologiche ma
quasi nessuna di queste rispecchia poi una produzione veramente naturale. La
differenza tra biologico industriale e biologico artigianale è un tema troppo
lungo da poter toccare nell’ambito di questo post ma certamente nella nostra
regione l’artigianato in ambito vinicolo deve affrontare ancora molti, troppi
ostacoli. A Cerea erano presenti quattro produttori laziali (uno dei quali – le
Suore Trappiste di Vitorchiano – è in realta un progetto curato e seguito da
Paolo Bea dall’Umbria), a Vivit uno e a Villa Favorita zero spaccato. In
compenso nel padiglione del Lazio del Vinitaly (sempre più desolante) c’era il
consorzio delle aziende vinicole bio, i cui vini sono però indistinguibili da
quelli di agricoltura convenzionale. Un peccato perché il nostro terroir
permetterebbe una viticoltura naturale di ottimo livello. Invece lieviti
selezionati, chiarifiche e concentrazioni la fanno ancora da padroni.
3) La
confusione nei criteri di selezione delle aziende aderenti ai vari gruppi. Se
vado ad una fiera del vino naturale vorrei trovare vini che, con le loro
differenti personalità, rispecchino una viticoltura e delle pratiche di cantina
ben identificate da dei protocolli, siano essi legali od etici. Invece noto che
qualche produttore che sale sul carrozzone dei naturali viene accettato ed
inserito nell’ambito delle manifestazioni, pur non rispettando determinati
criteri fondamentali per farne parte. Detto per inciso, per me naturale non
significa solo avere una certificazione, quello è solo un primo eventuale
passo. Sappiamo tutti che l’essere etichettati bio in Italia non è sufficiente a
garantire un vino veramente sano (oltre che ovviamente, buono). Separarsi dai produttori convenzionali
dovrebbe essere un modo per far capire al consumatore la vera differenza tra il
gusto del vino “vero” e quello “industriale”. Una maggiore attenzione nella
selezione non può che aiutare questi gruppi, i cui scopi sono nobili e che comunque
per fortuna sono ancora in gran parte raggiunti.
4) La
difficoltà per raggiungere Villa Favorita per chi non è in macchina. Su questo
punto torno perché mi sembra un tema largamente sottovalutato dai dibattiti e
dalle discussioni sugli eventi. Villa Favorita è un luogo fantastico, con un
panorama mozzafiato ed un’atmosfera d’altri tempi, molto adatta tra l’altro ad
entrare in contatto con i vignaioli. Però è sperduto tra i vigneti del
Gambellara, è a quasi 10km dalla stazione più vicina, Montebello Vicentino,
servita poco e male dai servizi regionali. Di pomeriggio la navetta per tornare
dalla villa alla stazione c’è ma chi arriva la mattina col treno farà meglio ad
affrontare la scarpinata perché la prima navetta arriva (forse) intorno a
mezzogiorno. Gli organizzatori dovrebbero sapere che l’evento attira molti
visitatori che si spostano da altre parti d’Italia ed il treno è il mezzo più
gettonato, specialmente per chi viene da lontano. Inoltre, visto che la
manifestazione si svolge in semi-coincidenza col Vinitaly, molti alloggiano a
Verona o dintorni e con i mezzi pubblici i due luoghi sono collegati piuttosto
male. Insomma, se proprio si vuole mantenere la location suggestiva, si faccia
in modo di dare una mano a chi non guida o non ha un mezzo proprio a
disposizione. Non tutti riescono ad ottenere passaggi o ad avere la forza
fisica di camminare a lungo sotto il sole.
5) La
scelta del gruppo Vivit di andare al Vinitaly. Lo premetto, non sono uno di
quelli che si è scagliato preventivamente contro questa decisione, anche se
creare l’ulteriore divisione mi sembrava alquanto inutile. Capisco le esigenze
di tutti ed in fondo questi eventi servono ai piccoli produttori molto più che
ai grandi, quindi avere a disposizione un pubblico più vasto, quello del
Vinitaly, è economicamente comprensibile. Quello che non mi è piaciuto è il
modo in cui è stato gestito il tutto all’interno del circo veronese: una sala
angusta, con i produttori assiepati l’un l’altro, spazi strettissimi per gli
avventori, attese all’ingresso per avere un (pessimo) bicchiere pulito, il
dover sgomitare con i gruppetti di avvinazzati che sono purtroppo molto
frequenti tra i padiglioni della Fiera di Verona in questo periodo. Tutto ciò
ovviamente va a discapito della comunicazione col produttore e rende molto più
asettico il contatto con i suoi vini, spesso gustati in fretta e furia in mezzo
a nugoli di braccia. Aggiungo poi che chi, come il sottoscritto, avesse deciso
di andare al Vinitaly quasi esclusivamente per il Vivit, era comunque costretto
a pagare le 50 euro dell’ingresso giornaliero. Ovviamente tutto questo non è
colpa dei produttori ma quando si è deciso di andare lì, certe cose potevano
essere facilmente intuibili. Speriamo in un miglioramento nell’anno venturo.
bella analisi. ci hai incuriosito, com'erano questi 4 vini del lazio?
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