mercoledì 12 gennaio 2011

Ferrari Perlè 1997 Sboccatura 2002


Alzi la mano chi non ha mai bevuto un Ferrari nella sua vita. D’altronde è sempre stato e continua ad essere LO spumante per le grandi occasioni dell’italiano medio: si arriva ad una celebrazione con una bottiglia di Ferrari e si fa sempre una gran figura. Non importa che si trovi in ogni supermercato ed in molti alimentari “vecchio stampo” di quartiere, magari a fianco all’insetticida e dietro le Chupa Chups. In fondo la Ferrari produce quattro milioni e settecentomila bottiglie l’anno, una quantità che le aziende di cui parlo solitamente in questo blog non raggiungerebbero nemmeno se sommate tutte insieme e poi moltiplicate per due. Quindi è normale che si trovi ovunque e sono molto bravi alla Ferrari a mantenere il loro nome come emblema di qualità.
C’è anche da dire che uno spumante Ferrari ha un suo stile, è riconoscibile, difficilmente delude al palato ed oltre tutto la nuova generazione della famiglia Lunelli che dal 1952 possiede l’azienda è molto attenta all’impatto aziendale limitando l’utilizzo della chimica e coltiva persino un vigneto di 8 ettari a regime biodinamico. Inoltre come ho già detto in un post precedente la “Riserva del Fondatore”, il loro prodotto di punta, rimane uno tra i migliori metodi classici italiani. Un mito che però l’italiano medio di cui sopra quasi ignora l’esistenza, così come ignora quella degli altri prodotti Ferrari che non siano il classico base da grande distribuzione. E pensare che prima di arrivare al top di gamma ci sono altre etichette dal prezzo non particolarmente proibitivo che farebbero scoprire in un attimo nuovi orizzonti.
Così, con la mia mentalità alquanto prevenuta sulle dispense del prossimo, quando qualche giorno fa in una cena da amici ho visto prendere dal frigo lo spumante ed ho riconosciuto da lontano la classica etichetta Ferrari, ho pensato “siamo alle solite”. Poi quando sono andato a bere ciò che avevo nel bicchiere, qualcosa mi ha colpito: lo spumante era staordinariamente vivo, strutturato, con note di frutta secca e nocciole tostate che ritornavano in bocca con sorprendente intensità accompagnate da una vivacità carbonica per nulla invadente ma molto fine, morbida. Ed infine una sapidità profonda a stemperare qualche nota dolciastra. Incuriosito, mi sono impossessato della bottiglia ed ho visto che stavo bevendo un Perlè del 1997 con sboccatura del 2002!
Il Perlè è il millesimato classico tra i Ferrari, 100% Chardonnay (da poco esiste anche il “Perlè Noir” da solo Pinot Nero) che rimane cinque anni sui lieviti prima di subire la sboccatura ed essere messo in commercio. Praticamente è lo step successivo al base ma la differenza è abissale, molto più di quella del prezzo (il base costa intorno ai 15 ed il Perlè poco meno di trenta ma vale ben più del doppio). Poi c’è la nota impressionante della sua tenuta nel tempo: da una vendemmia di quattordici anni fa ed una sboccatura di otto, abbiamo ancora un vino nel pieno della sua evoluzione, gustoso ed in grande forma. Tutto ciò va a sconfessare per l’ennesima volta l’assioma secondo il quale uno spumante comincia la sua fase calante subito dopo la sua sboccatura. E questo nonostante io abbia dei dubbi serissimi sulle condizioni di mantenimento della bottiglia in questione, che evidentemente ha saputo resistere anche ad eventuali maltrattamenti.
Purtroppo, com’è triste ed inevitabile destino del suo popolare fratello minore, questo Perlè è stato stappato per accompagnare il dessert, il sacrilegio più comune del mondo per tutti gli spumanti. Io invece lo vedrei bene su un primo piatto magari a base di pasta all’uovo, per esempio con salsa di noci e radicchio oppure sulla classica fettuccina ai funghi porcini. Un modo nobile e godereccio per scoprire un Ferrari che con insetticida e Chupa Chups ha ben poco a che fare.

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