mercoledì 19 gennaio 2011

Vitigni e territori a confronto


E’ giunto il momento di raccontare  un’altra piacevole serata passata tra amici e bicchieri. Questa volta il tema mi era stato suggerito e consigliato da molti assidui frequentatori dei nostri incontri, incuriositi nell’individuare differenze territoriali e stilistiche tra vini derivati dallo stesso vitigno ma di diverse zone vinicole. Va da se che la scelta sia dei vitigni che poi dei vini era infinita, allora prima di impelagarsi in dubbi derivanti da gusti personali, evoluzioni della specie e componenti mistiche, la preferenza è andata sull’ovvio: i bianchi di Borgogna ed i rossi di Bordeaux “contro” gli innumerevoli tentativi di imitazione. Si fa per dire, perché l’imitazione non solo non è mai consigliabile ma nel vino non è nemmeno possibile.

Eccoci allora, i protagonisti della serata sono cinque, tre chardonnay e due uvaggi bordolesi “di lusso”, vale a dire con i due vitigni più pregiati della Gironde, Merlot e Cabernet Sauvignon. I vini sono stati degustati alla cieca, giochino che ha stuzzicato la voglia di indovinare l’etichetta tra la maggior parte dei presenti ma che soprattutto è servito a giudicare i vini senza preconcetti e probabilmente apprezzarne le differenti sfumature in maniera più nitida. Ma andiamoli a vedere da vicino questi protagonisti, partendo con i bianchi.

Il primo vino degustato era il vero outsider della serata, lo Chardonnay Parvus della cantina Alta Alella, una della sette cantine facenti parte della denominazione catalana Alella, piccola zona nei dintorni di Barcellona, a due passi dal mare e contraddistinta da terreni prevalentemente sabbiosi. Il vino in questione, un 2009, affina quattro mesi in barrique ed ha un olfatto fortemente marcato dal legno: tostatura, burro fuso, frutta secca. Solo in seconda battuta vengono fuori note esotiche di ananas e banana, con spunti floreali appena accennati. Il gusto è pieno, vigoroso, morbidezza ed eleganza prevalgono su acidità e struttura, la rotondità del legno ritorna ancora non ben amalgamata nel corpo, seppur non in modo stucchevole. Le note mediterranee aleggiano nel finale, manifestandosi in una delicata sapidità. Un vino moderno, forse anche un po’ troppo ma sicuramente ben fatto, tutto sommato piacevole e versatile negli abbinamenti con preferenza per piatti di pesce anche salsati.

A seguire, abbiamo giocato in casa, per una volta infatti il protagonista è stato un vino del Lazio, il Calanchi di Vaiano 2009  di Paolo e Noemia d’Amico, splendida cantina situata nel cuore della Tuscia, a Castiglione in Teverina, proprio  tra le pittoresche formazioni rocciose, i calanchi, cui questo Chardonnay affinato in acciaio fa omaggio col suo nome. Naso varietale se ce n’è uno, frutta bianca e fiori d’acacia e tanta finezza, con un filo di erbe aromatiche e sfondo appena affumicato. In bocca è il trionfo della mineralità, pungente ed inebriante, grande freschezza e bevibilità da campione. Un vino già pronto ed in rampa di lancio per crescere e sviluppare la sua eleganza nel tempo, di medio corpo, compagno ideale di una bella fettuccina ai porcini ma non lontano dall’essere vino da secondi piatti di carne bianca in cotture anche elaborate. Un sorso chiama l’altro, grande equilibrio e grandi soddisfazioni.

Per il terzo ed ultimo bianco, il nostro viaggio ci ha portato nella madre patria dello Chardonnay, la Borgogna interpretata in questo caso da un parigino col sogno di fare vino, il 36enne Horonce de Beler che ha mollato il suo lavoro sicuro nella capitale per cogliere uva e diventare negociant. Il suo Starterre 2006 è uno Chardonnay lavorato in maniera completamente naturale, compresa raccolta grappoli a cavallo e metodi biodinamici in cantina. E un AOC Bourgogne ma le uve provengono tutte da Saint-Veran. Ha un naso assolutamente particolare, riporta alla terra nel senso stretto del termine, con note di sassi bagnati, acqua piovana, fieno. La frutta è più matura ed il floreale si avvicina ad una sorta di pot-pourri, seppur molto discreto. Nessuna traccia dei 12 mesi di barrique, nemmeno quando si assaggia, con la parte acida che al momento è ancora prevalente sul resto e va in evidenza la naturale struttura ed il gran corpo dello Chardonnay a casa sua. Finale lungo ed invitante, il vino cresce nel bicchiere dopo ogni minuto e sembra voler farsi studiare pian piano, rivelando il suo misterioso fascino. Pur essendo di tre annate più anziano rispetto agli altri, sembra essere il vino che ha più da chiedere al tempo. Una sfida che sarebbe bello giocare di nuovo tra qualche anno.

Dopo questo trittico di bianchi che ha mostrato tre diversi interpretazioni dello Chardonnay, anche i due rossi hanno messo in mostra le sfaccettature della loro terra. Questa volta ad aprire è stato il francese, il Premieres Cotes de Blaye 2007 dello Chateau Mondesir-Gazin, cantina capace di mettere in mostra le caratteristiche di questa microzona del bordolese influenzata dalla presenza dell’estuario del fiume Garonne. I rossi di questa parte di Francia sono a maggioranza Merlot (65% in questo caso) e giocano sull’equilibrio tra potenza ed eleganza. Nel caso di questo 2007 troviamo un naso piuttosto scuro, che vira dalle spezie al cuoio passando per le ciliegie sotto spirito. Una bocca piena, succosa ma dritta, senza compromessi, ancora piuttosto chiusa ed ancorata ad un finale lungo e pulito. Un vino dove la piacioneria del Merlot è messa da parte e si tende invece ad evidenziare la parte più nobile del frutto. Ancora in via di definizione ma già ottimo su piatti a base di agnello, anche il classico al forno con patate.

La rappresentanza italiana dell’uvaggio bordolese non poteva che essere un classico supertuscan anche se fuori dall’èlite dei grandi nomi blasonati. Si tratta di un Bolgheri DOC, lo Zizzolo 2009 della cantina Le Fornacelle di Castagneto Carducci. Anche qui Merlot in maggioranza (60%) ma questa volta interpretato in maniera più solare, dove le sensazioni olfattive di frutti rossi si incrociano ad un’evidente nota salmastra, molto affascinante ed esemplificativa del territorio in questione. La mineralità che approccia la bocca è il proseguo della cartolina dell’Alta Maremma, mentre freschezza ed eleganza del tannino rendono il sorso morbido e di ottima fattura. 6 mesi di legno assolutamente ben gestiti, nessun ritorno vanigliato e buon equilibrio generale. Un vino più sottile del precedente, assolutamente da carne, dall’agnello ad una ricca grigliata.

A chiusura di serata, i doverosi sondaggi sui preferiti hanno visto una certa indecisione nell’assegnare la palma del vincitore. Tra i bianchi la spunta il Calanchi per qualche voto sullo Starterre mentre tra i rossi c’è stato una sostanziale parità. E’ stata una serata utile e divertente ed approfitto per ringraziare ancora una volta tutti gli entusiasti partecipanti. Aspetto quanti di voi potranno venire il 13 febbraio con il nuovo tema che vedrà quattro ottimi formaggi accompagnare altrettanti vini. Salute!

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