lunedì 27 dicembre 2010

Coboldo 2007 I Pàmpini


Le guide sui vini sono utili, cerco sempre di tenerne in casa almeno una dell’anno in corso, spesso sperando in qualche regalo altrui. Perché alla fine delle guide io in realtà mi fido poco, le utilizzo soprattutto per alcune informazioni pratiche o logistiche o semplicemente per avere notizie sui vini a portata di mano quando non c’è internet in giro. Al di là dei discorsi delle lobby di alcuni marchi e degli scandali su presunte mazzette richieste/ricevute da certi produttori per ricevere più punti, più stelle o più bicchieri, quello che non mi piace è l’approccio molto radical-chic che troppo spesso tiene conto di tutto tranne che della sostanza.

Però c’è un punto su cui le guide quasi sempre concordano e sul quale devo – a malincuore – allinearmi: la bassa qualità media dei vini del Lazio. Punto con cui mi allineo a malincuore per due motivi sostanziali. Il primo è che si tratta della mia regione ed il secondo è che parliamo di una zona potenzialmente eccellente per la produzione di grande vino, dotata di grande diversità di territori, tutti storicamente vocati. Basti pensare ai terreni vulcanici dei Castelli Romani, ai calanchi dell’alto viterbese o ancora alla zone semi-montagnose nel frusinate. Poi i mille vitigni autoctoni, molti dimenticati come il Tor de Passeri o l’Albarosa, altri mal sfruttati come il Bombino, il Cacchione, il Nero Buono, altri da un po’ in ripresa come il Grechetto o il Cesanese.

Ma il Lazio ha dimostrato di essere talmente versatile da poter produrre buone cose anche con i vitigni internazionali, in particolar modo quelli a bacca rossa. Non è un caso che Casale del Giglio, l’azienda di punta del panorama regionale abbia puntato su Syrah, Cabernet Sauvignon e Petit Verdot per farsi strada in Italia e nel mondo. E l’azienda di cui parlo oggi si trova proprio nello stesso terroir , quell’agro pontino che è un mix di contraddizioni, con il mare a due passi eppure profondamente legato all’entroterra, nei sapori e nei colori. Si tratta de I Pàmpini, cantina giovanissima, acquisita nel 1999 dai coniugi Oliveto ed attiva dal 2005 con la produzione di diverse etichette sia di rossi che di bianchi, con vitigni internazionali e non.

Non potrebbero essere più diversi dai loro quasi dirimpettai di Casale del Giglio: gestione familiare, agricoltura biologica certificata, produzione minima per vini senza fronzoli, di territorio, quasi sempre da tutti i giorni, anche nelle etichette, molto semplici, quasi naif. Di tutta la loro gamma mi hanno colpito varie cose, tra cui il Maroso, uno splendido Cacchione in purezza con un breve passaggio in barrique, ottimamente amalgamato in una materia grassa e gustosa. Ma con la proprietaria Carmen siamo stati d’accordo su quello che in questo momento è il loro vino più in forma, cioè il Coboldo dell’annata 2007.

Il Coboldo è un Merlot in purezza e con questo vitigno si rischia sempre di cadere nel banale, magari facendo il solito vinello simpatico, bevibile ma che si potrebbe tranquillamente confondere con altri mille Merlot. Nel caso del Coboldo le cose sono diverse. Affina solo in acciaio, è concepito come vino semplice (costa meno di dieci euro in enoteca) ma affonda le sue note fruttate in un tocco di salmastro, di aromi mediterranei, sanguigni. Un bel chiaroscuro di sensazioni olfattive che al palato risultano trasportate con una bella dose di eleganza, soprattutto nei suoi tannini decisi e in una degna acidità. L’annata è stata molto buona ed il vino dopo tre anni abbondanti dal suo imbottigliamento è un piccolo gioiello che può regalare ampie soddisfazioni a tutto pasto, con un azzardo personale sul classico abbacchio al forno con patate.

Questa è un’azienda da tenere d’occhio, una tra quelle che stanno lavorando seriamente ed in silenzio per fare crescere una viticoltura regionale prigioniera da troppo tempo dei grandi numeri che vanno quasi sempre a discapito della qualità. Spero vivamente di poter parlare di nuovo di loro, così come di altri produttori del Lazio in grado di regalarci belle emozioni. Se lo meritano di sicuro.

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