giovedì 16 dicembre 2010

I Meursault del Domaine Albert Grivault


Se la mia vita dipendesse da un vino probabilmente sceglierei un Borgogna bianco. Lo so, sto puntando in alto ma per citare il grandissimo Don Pasta (se non avete ancora il suo Wine Sound System mollate tutto ed andate subito in libreria a prenderne una copia) “gli unici soldi che ho rimpianto per la Borgogna sono quelli che non ho speso”. D’altronde lo Chardonnay da quelle parti ha l’anima che non si trova quasi più nei vini fatti altrove con questo vitigno, il più diffuso del mondo tra i “bacca bianca”. A descriverlo a parole, il vino bianco di Borgogna non si comprenderebbe. Bisogna berlo, osservarlo, annusarlo, lasciarlo riposare e magari berlo di nuovo per poterlo capire pian piano. E meglio ancora se tutto questo viene fatto dopo qualche anno di sonno in cantina: ai bianchi borgognoni non piace essere svegliati presto, devono crescere, devono evolvere la loro mineralità e le loro complessità.

Poi non tutti i bianchi di Borgogna sono uguali, ci mancherebbe. Impossibile in una zona così maniacalmente suddivisa in territori le cui caratteristiche variano anche se sono a pochi metri l’un dall’altro, tanto da dare vita ad una miriade di denominazione e di sottozone da perderci la testa. E se è innegabile che la Cote de Beaune sia il paradiso per lo Chardonnay, ci sono poi mille pareri su quale AOC (la nostra DOC) sia la più sublime. La storia dice Montrachet ed i suoi satelliti ma a giocare la parte degli outsider ci sono almeno altre due eccellenze: Corton-Charlemagne e Meursault. Con quest’ultima ad avere un asso nella manica non da poco, cioè un prezzo medio piuttosto inferiore rispetto alle altre contendenti.

E i Meursault del Domaine Albert Grivault sono stati i protagonisti della serata organizzata da Comptoir de France, insostuibile tempio di ghiottonerie francesi che ha un posto nel cuore di tutti i gastronauti romani e milanesi. Alla presenza del produttore, socievole ed alla mano, sono stati degustati diversi prodotti dell’azienda. Si è cominciato con il base delle basi, il Bourgogne Blanc 2008, quella denominazione regionale la cui vastità impone che si conosca quale produttore ci sia dietro al vino imbottigliato, pena una grossa delusione. Un vino dove si distinguono subito l’eleganza e la purezza del frutto tipici dei vini di Grivault, in questo caso a far da corredo ad una piacevole semplicità. Ottimo vino per aprire il pasto un po’ penalizzato dal ricarico dovuto dall’importazione: quasi 20 euro, una cifra con cui si possono trovare bianchi migliori, anche rimanendo in Francia, forse persino in Borgogna stessa.

Nell’assaggiare il 2007 ed il 2008 del Meursault Villages si è potuto capire in un istante quanto l’annata può influire sul prodotto finale. Due vini molto diversi l’uno dall’altro, con il 2007 più chiuso e nervoso, con l’acidità in grossa evidenza contro un 2008 più muscoloso e profondo, dall’acidità ben più amalgamata nell’insieme. La liaison la fa l’eleganza in due vini di classe ed entrambi adatti a piatti delicati e complessi. Costano poco meno di 40 euro ma in questo caso li valgono tutti, con il 2008 già godibile da ora ed il 2007 che invece chiede ancora qualche anno prima di aprirsi al meglio.

Con il Perrières Premier Cru 2007 si è percepito netto il salto di qualità, pur riservando una dovuta cautela nel giudizio data l’innegabile gioventù del vino in questione. Ma nella materia si svela subito la sua grassezza, la sua nobile mineralità, il suo sfondo fruttato. Acidità da matti, indice di un mantenimento in cantina che non può essere inferiore a dieci anni ma se si raddoppia è ancora meglio. Costa 50 euro ma parliamo di un all-star assoluto.

Il superstar della serata ed il top di gamma di Grivault è il Clos des Perrières, vigna monopole (nel senso che Grivault è l’unico proprietario in questa particella di terreno e quindi l’unico che può produrre in questa AOC) dalla quale abbiamo degustato l’annata 2007. Sicuramente un passo in più rispetto a tutto il resto a livello di complessità e di densità, la mineralità e l’eleganza sono sempre lì a sottolineare territorio e stile, anche se tutto al momento è comprensibilmente relegato dietro un’imperante acidità e ad una tendenza alla chiusura che sembra quasi la portavoce di una protesta legittima per aver osato stappare il vino così presto. Se avete un posto dove mantenere una bottiglia per almeno una quindicina d’anni (e soprattutto se avete la pazienza di aspettare) spendete 60 euro per questo vino: non ve ne pentirete.

Nel finale Grivault ci ha anche mostrato la sua bravura con il rosso, con il gustosissimo Pommard Clos Blanc 2007 (Premier Cru) con le tipiche note terrose ed animali del Pinot Nero nel suo regno, insieme ad un tocco speziato ed alla consueta eleganza: un degno finale per una bella serata. La Borgogna ed i suoi silenziosi quanto enigmatici protagonisti, umani e liquidi, lasciano sempre sognanti. Con mille ringraziamenti allo staff di Comptoir ed al signor Bardet del Domaine Grivault, pronto a rispondere a tutte le domande, molte delle quali incalzanti da parte di un pubblico incredibilmente coinvolto. Chapeau.

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