mercoledì 29 dicembre 2010

Il Lambrusco di Camillo Donati


Se è vero che il vino è figlio della natura e l’uomo può solo rovinarlo, il Lambrusco ha un conto aperto con l’umanità. Non solo perché è una tipologia svilita e maltrattata ma soprattutto perché l’approccio al Lambrusco è raramente fatto con equilibrio. Il bevitore “colto” dai gusti sofisticati lo giudica una zozzeria, una perdita di tempo, una roba da sciaquabudella. Il bevitore radical-chic, al contrario, lo esalta in maniera spropositata, elevandolo a grandissimo vino, seguendo le mode (si, i radical-chic seguono parecchio le mode) di alcuni produttori che lo fanno morbido, setoso e sbrilluccicante. Poi c’è la massa generica, quella che si accontenta di ciò che gli offrono, cioè quei lambruschi schiumosi dall’imbarazzante residuo zuccherino che fanno rimpiangere un buon chinotto.

Invece il Lambrusco, quello vero, è tutt’altro. Innanzitutto è lo specchio di un territorio e nel senso più largo del termine, perché rispecchia non soltanto le caratteristiche varietali del vitigno (anzi dei vitigni, perché sulle diverse varietà di Lambrusco sarebbe interessante scrivere un bel libro) o delle vigne su cui nasce. Il Lambrusco prima di tutto rispecchia la gente che lo fa ed anche quella che lo beve, gente delle campagne emiliane, spesso contadini, operai o semplicemente persone del posto che se lo godono al bar, giocando a carte, mangiando un panino o affettando un salame. Il Lambrusco non è necessariamente vino da calice  ballon a lungo stelo da tenere con due dita, si trova più a suo agio nel classico bicchiere svasato da osteria. Insomma, senza cadere troppo nella retorica, è vino da merenda nella migliore accezione della definizione, deve far compagnia e deve accompagnare i momenti normali della vita. Il Lambrusco non vuole essere grande, si sente bene così com’è: schietto, profumato, soddisfacente. Ma non banale.

E’ da questo ultimo punto che sono partiti un gruppo di intrapredenti viticoltori che da una ventina d’anni a questa parte continuano ad espandersi, dalle diverse zone emiliane fino ad arrivare al basso mantovano, con lo scopo di fare Lambrusco buono, sincero, lontano dalle troppe banalità che lo hanno circondato per tanto tempo. Tra questi un Lambrusco che suo malgrado è diventato un cult è quello di Camillo Donati, produttore biodinamico di Arola, nel parmense, che si segnala anche per il resto della sua produzione, tesa quasi esclusivamente alla produzione di vini frizzanti naturali, anche con vitigni non propriamente abituati a questo ruolo come il Sauvignon Blanc o il Cabernet Franc. Io non so se quello di Camillo Donati sia il miglior Lambrusco in commercio come molti sostengono, non ho le basi per dirlo in quanto non ho assaggiato molti dei prodotti che vengono considerati all’unanimità come archetipi per la tipologia. Lini e Bellei, tra quelli più reperibili, mi sono piaciuti molto. Ma nel Lambrusco di Donati trovo qualcosa di particolare, qualcosa che mi fa associare in maniera ancor più netta questo vino alle sue terre di provenienza.

Il biotipo di Lambrusco utilizzato in questo caso è il Maestri, nato e cresciuto nel parmense, trattato da Camillo Donati con estrema cura, potature severe, basse rese. Il risultato è un vino la cui effervescenza, presente ma poco più che accennata, fa da apripista all’eleganza globale dell’olfatto prima e dell’assaggio poi. Note scure, tra terra e bagnata e frutti di bosco, un nonsochè di speziato, un filo di vegetale. Poi gran ricchezza al palato, impressiona la qualità del tannino così come la sua acidità a corredare una struttura di tutto rispetto. Gustoso, ritornano le note olfattive nel bel finale, si fa bere in un amen ed è una di quelle bottiglie che non deve essere mai acquistata singolarmente perché il rischio che una non basti è più che frequente. Il produttore consiglia di berlo a 18 gradi, come un rosso fermo e forse non ha tutti i torti perché le sue qualità gusto-olfattive, pur rimanendo tipiche, non hanno nulla da invidiare a vini più nobili. Io l’ho bevuto a temperatura un po’ più bassa sul pranzo di Natale, composto sostanzialmente da cappelletti in brodo, bollito con verdure e salumi e formaggi a chiudere. Avevo fatto la stessa scelta per il Natale precedente e francamente trovo difficile trovare un abbinamento più adatto per piatti del genere. Ma andrebbe benissimo anche con paste ripiene tipo lasagne o cannelloni o perché no su carni rosse elaborate. Oppure potreste berlo con un bel panino al prosciutto. Perché il Lambrusco fatto bene è anche un bel jolly a tavola. Quello di Camillo Donati poi a 10 euro in enoteca è una vera chicca da non lasciarsi sfuggire. La prossima volta che vi chiedono un Lambrusco, provate con questo. Se non piace, chiamatemi. Vi offrirò un chinotto.




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