mercoledì 22 dicembre 2010

Vosne Romanèe 2004 Confuron-Cotetidot


Avvertenza tardiva ma sempre valida: in questo blog saranno molto frequenti post riguardanti la Borgogna. Regione in cui per altro non sono mai stato, lacuna che non mi perdono e spero di riparare al più presto possibile. Per ora mi devo accontentare di conoscerla tramite i suoi vini, pratica che per altro occupa il podio perpetuo tra i piaceri della mia vita. Nel post precedente ho parlato soprattutto di bianchi, gli eccellenti Meursault di Albert Grivault. Stavolta tocca ad un rosso, un semplice village, cioè non un cru, ma una denominazione base, per quanto nobile come Vosne-Romanèe vista da Confuron-Cotetidot.

La bottiglia era in cantina da un paio d’anni (laddove la cantina è l’angolo più sfigato di una stanza della casa, dove arriva poca luce e gli sbalzi di temperatura sono limitati ma fa figo dire “in cantina”) e probabilmente ci poteva rimanere per almeno altrettanto, solo che era un po’ che non aprivo un rosso borgognone e la giornata, fredda con tendenza al gelido, sembrava proprio quella adatta. Anche se ancora devo trovare un momento non adatto per aprire una bella bottiglia.

Da Confuron-Cotetidot c’è la tendenza a vendemmiare le uve molto mature, tendenza ultimamente diffusa ed abusata da chi vuole ottenere vini iperconcentrati, alcolici e con un residuo zuccherino palpabile. Spesso questa pratica diventa il miglior viatico per dare al vino quelle sembianze un po’ truccate che si traducono in potenza alcolica, colore acceso, retrogusto dolciastro. Solo in determinati casi ci si può permettere di vendemmiare tardivamente senza compromettere l’autenticità del prodotto. Uno di quei casi è dentro il mio bicchiere, frutto di un eccellente qualità dell’uva e di un intelligente lavoro in vigna prima ed in cantina poi. Solo così l’effetto sputtanamento si evita.

Pinot Nero ovviamente, vitigno che in tanti amano ed in troppi inseguono senza arrendersi all’evidenza che è solo ed esclusivamente in terra di Borgogna dove potrà esprime al meglio tutta la sua testardaggine e non me ne vogliano alcuni eccellenti prodotti altoatesini o del lontano Oregon. Eppure questo è un village, i territori d’eccellenza della regione sono altri, le superstar della Borgogna famose nel mondo non si mischiano ad un semplice Vosne-Romanèe base. Ma certe volte per apprezzare un nobile vitigno in un nobile territorio serve proprio la semplicità. Confuron-Cotetidot ce la serve in un piatto – pardon, in un bicchiere – d’argento.

Vigna e cantina condotti con metodi naturali portano nel calice il classico rubino svogliato del Pinot Nero, niente concentrazione esagerata, niente lucentezza. Una tendenza al rosso scarico che porta il segno inconfondibile del vitigno borgognone. Al naso è rigoroso nella sua intensità, richiama proprio alla terra, alle note animali ed ematiche, alle spezie scure. Un olfatto cupo che incanta ed affascina e che muta nel bicchiere con i minuti e le ore, facendo prevalere di volta in volta un sentore su un altro senza mai perdere la sua buia identità. Quando si beve tutto ritorna anche se in maniera meno esplosiva, è avvolto da una bella freschezza e da un tannino di estrema eleganza. Sembra volersi far un po’ cercare nel suo finale minerale non lunghissimo, unico attimo in cui ci si ricorda che questo è un base e che i cru non sono tali per caso. Ma è di una beva spaventosamente facile, cosa di non poca importanza per una tipologia che attinge da un vitigno e da un terroir dalle caratteristiche tutt’altro che luminose.

Che dire, la mia visione mi impedisce di dare un giudizio imparziale ma io bevendo vini come questo, sinceri e non perfettini, rientro a contatto con i piaceri della vita e me li godo in ogni forma possibile. Provatelo con un ragù di cinghiale, con un pollo ruspante coi peperoni o semplicemente col vostro formaggio stagionato preferito. E per un po’ dimenticatevi dei vostri problemi.

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