martedì 7 dicembre 2010

Resoconto dell'incontro del 21 novembre 2010


Vivere una passione è bello. Condividerla con gli altri la rende speciale. Quando poi c’è di mezzo il vino, è inevitabile respirare aria di festa. Questi sono forse i motivi principali per cui amo questi incontri di degustazione, nati quasi per caso circa un anno fa ed ora diventati un appuntamento ricorrente con un gruppo di appassionati ai quali ogni volta si aggiunge qualche nuovo amico. Quelle due ore di chiacchiere e sorsi di vino ripagano ampiamente tutta la fatica dei giorni precedenti, quelli in cui corro dietro a produttori e distributori, in cui cerco di ottimizzare i tempi sfidando qualsiasi legge fisica e quando il traffico di Roma sembra essere il tuo peggior nemico. Tutto svanisce in un brindisi e in un attimo. Forza del vino. Forza della compagnia.

L’ultimo appuntamento, svoltosi il 21 Novembre scorso, è stato un po’ sui generis rispetto alle scelte canoniche perché abbiamo degustato vini provenienti da paesi nuovi, il che significa tutto ciò che non è Italia e Francia, che per ovvie ragioni avevano avuto il sopravvento negli incontri precedenti. L’idea era quella di una giocosa sfida tra vecchio e nuovo mondo, più per fare un confronto e capirne le differenze che per stabilire un vincitore. La scelta dei vini, due bianchi e due rossi più il canonico quinto incomodo è stata in parte ovvia ed in parte sofferta. Se per i bianchi non ho avuto dubbi nel selezionare un Riesling tedesco ed un Sauvignon Blanc neozelandese, per i rossi la rosa era ampia. Alla fine ho accantonato tentazioni portoghesi e nicchie americane (più che California, Oregon e i suoi promettenti Pinot Nero) ed ho optato per Spagna ed Argentina con i loro Tempranillo e Malbec.

Il primo vino era in realtà l’intruso, mantenuto per tener viva la tradizione di avere cinque etichette da provare. E tra bianchi e rossi, ci voleva un metodo classico che per rimanere in tema non era né uno Champagne né un Franciacorta o un Trento bensì un Cava del Penedes, cuore spumantistico della Catalogna. Il Vall Dolina Brut Nature delle Caves Tutusaus basa la sua essenza sulla delicatezza, quella della soavità floreale e della leggera tostatura con cui si apre al naso e quella della sua cremosità sostenuta da sapida freschezza e fine perlage. E’ un nature quindi privo di dosaggio come avviene per moltissimi Cava e pur essendo dritto come tutti i pas dosè sa essere piacevole, versatile e per nulla aggressivo. Un ottimo brindisi di apertura, della serata come di un pasto che potrebbe anche accompagnare nelle sue portate, soprattutto se a base di pesce.

Il primo bianco è stato il tedesco, nello specifico il Riesling Trocken Spatlese 2009 di Stallman-Hiestand, produttore che opera nella denominazione Rheinessen, meno nota della Mosel-Saar-Ruwer e anche della sua dirimpettaia Rheingau ma capace di regalare perle come questo vino. Il Riesling è di per se un vitigno senza mezzi termini, o piace o non si sopporta, un po’ come tutti i vitigni aromatici. E’ però innegabile anche ai detrattori che si tratta di uno dei vitigni capace di dare dei bianchi memorabili, dalla vita lunghissima e dalle complessità gusto-olfattive infinite. C’è anche chi sostiene che i Riesling o li bevi giovani per assaporarne la loro esuberanza aromatica o li devi aspettare per anni per apprezzarli a pieno. Probabile, intanto questo 2009 era delizioso, assolutamente varietale con le sue note tipiche di agrumi e di frutta esotica, di mineralità e di quell’idrocarburo in questo caso solo vagamente accennato. In bocca esplode l’aromaticità ma senza stuccare, è nettamente secco e questo lo aiuta nella piacevolezza a differenza di molti Riesling quasi amabili che diventano un po’ ibridi e difficili da collocare a tavola. Questo Trocken invece è l’ideale compagno di una cena dal sapore esotico, magari a contrastare un tocco speziato su una pasta o su un pesce al forno. Ma visto che ci siamo, lo vedrei bene anche a tavola durante la cena della vigilia di Natale.

Passiamo allora al Sauvignon Blanc 2009 di Mount Nelson, azienda situata nel Marlborough in Nuova Zelanda, ovvero l’unica zona del mondo che ha saputo personalizzare in maniera qualitativamente elevata un vitigno particolare come il Sauvignon. Qui non c’è la pietra focaia o l’affumicato dei Sancerre e dei Pouilly-Fumè ma come da territorio una netta impronta vegetale corredata da anice, pepe bianco, agrumi. E’ un Sauvignon e si sente tutto, al naso come in bocca, un altro vitigno che è difficile fare scendere a compromessi ma ogni volta che ne assaggio la versione neozelandese mi stupisco per come sia inconfondibile. Magie di un microclima e di un terreno che la natura ha reso perfetti per questo vitigno. Gran densità, ottima struttura. E si dicono gran cose anche sulle potenzialità di Chardonnay e Riesling di quelle parti. E’ una zona giovanissima, staremo a vedere.

I due bianchi sono piaciuti, hanno aperto nuovi mondi ed hanno fatto aumentare la curiosità per i rossi. Il primo ci ha portato nella Ribera del Duero, denominazione spagnola che si gioca con la Rioja il primato della qualità. Ma se i vini della Rioja hanno la loro forza nella crianza, il lungo (a volte lunghissimo) invecchiamente in botte, i vini della Ribera tendono ad esaltare il principale vitigno iberico, quel Tempranillo che in ogni regione cambia nome: sulle rive del Duero lo chiamano Tinta Fina. Scuro, tannico, potente, noi lo abbiamo provato nella versione di Emilio Moro e nel suo Finca Resalso 2009, un vino che ha forse pagato un po’ il prezzo della gioventù pur essendo concepito come vino da bere nei suoi primi anni di vita. Ma il Tempranillo non si smentisce e non cede nulla se non la tipica frutta rossa. All’assaggio però è estremamente compatto, di ottima beva e di importante struttura con un piacevolissimo e lungo finale fruttato. Sarebbe interessante riprovarlo tra qualche anno, intanto però è il classico rosso da tutto pasto, magari da grigliata mista di carne, che magari suona scontato ma provare per credere.
L’ultimo bicchiere della serata si è riempito del nerissimo Malbec, vitigno bordolese che a Bordeaux viene utilizzato col contagocce ma che in Argentina ha trovato casa. E che casa. Mendoza, sotto le Ande che dividono il paese di Dieguito col Cile, vigne dagli 800 metri in su, e per su si può intendere anche tremila. Condizioni uniche di viticoltura, tra l’altro pre-fillossera quindi a piede franco. Il Malbec Alamos 2009 della Bodega Catena Zapata ha tutto quello che un vino del genere dovrebbe avere: speziatura, corposità, sapidità, potenza. Anche questo è un vino che avrà tempo di crescere e migliorare ma la sua rotondità, il suo sapere ben integrare quei pochi mesi di legno di affinamento ed il suo saper equilibrare l’irruenza del Malbec con una certa eleganza stilistica lo rendono protagonista già in giovane età. Per l’abbinamento fate voi, dalla carne ai formaggi non si può rimaner delusi.

Il responso finale? i bianchi se la sono giocata a pari merito anche se sul fotofinish il Riesling ha avuto qualche fan in più, mentre tra i rossi plebiscito assoluto per il Malbec. Ma in fondo lo scopo era quello di capire le tradizioni e le culture di paesi che sembrano lontani dal mondo del vino invece ne fanno parte e con merito. E come sempre è stata una serata in cui la compagnia è stata allegra ed appassionata. Sperando che la prossima lo sia ancor di più.

1 commento:

  1. Grazie della bella serata e del bel resoconto, ora aspettiamo la prossima!

    RispondiElimina